Hitchcock
Secondo la lettura freudiana che ci regala Slavoj Žižek, Psycho di Hitchcock altro non è che un viaggio nei meandri della personalità dell’uomo (un uomo qualunque). Distribuiti, più o meno forzatamente, nei tre piani della casa-corpo di famiglia, l’Es, l’Io e il Super-Io di Norman Bates conviverebbero come tre comunissimi coinquilini. Un trio eterogeneo per carattere e aspirazioni, quello descritto dal critico, ora pronto a collaborare per mantenere la casa il più possibile vivibile e pulita (il bagno, in particolare…), ora disposto a lottare verbalmente e fisicamente alla costante ricerca di una supremazia che si sa, fin dall’inizio, difficilmente raggiungibile. Convivenze forzate, travagli interiori e scontri feroci tra maschere sociali e impulsi primordiali in Hitchcock lasciano il set low-budget di Psycho per rituffarsi in un altro corpo-casa. Quello voluminoso e indistinguibile di chi quella “pietra miliare” della storia del cinema l’ha amata, odiata e desiderata al punto da giocarsi tutto pur di vederla nascere.
Ispirata al romanzo Alfred Hitchcock and the Making of Psycho e a testimonianze, più o meno attendibili, di chi sul quel set c’era sul serio, però, il film diretto da Sacha Gervasi racconta molto più di quell’anno vissuto pericolosamente” dal regista britannico. Se a un livello superficiale esso non è che un biopic dedicato alla realizzazione della pellicola del 1960 e al rapporto coniugale/professionale tra il Maestro e l’inseparabile Alma Reville, sotto uno più profondo nasconde qualcosa di più interessante e, al tempo stesso, perverso. Giudizi di valore a parte, infatti, l’intento della sceneggiatura firmata da John J. McLaughlin (Black Swan, 2010) appare chiaro fin dallo spiazzante prologo: inquadrare la silhouette più famosa della storia del cinema sotto una diversa prospettiva. Anzi tre.
Come i riflessi di uno specchio a tre facce – e i coinquilini di casa Bates… – Hitch il “maestro del brivido” (Super-Io), Hitch il marito geloso (Io) e Hitch il genio creativo tormentato da Eros e Thanatos (Es), nella pellicola s’incontrano, scontrano, fondono e confondono senza soluzione di continuità per dare vita a quel capolavoro senza tempo che è Psycho.
Amalgamando gli incubi notturni con i sogni a occhi aperti, l’ingordigia letteraria con l’astinenza alimentare, le paure ataviche con le angosce estemporanee, però, il film non si limita a ricostruire le tappe-cardine del processo di creazione di un perfetto gioiello dell’imperfezione. Fa ancora di più. Oltre che saggio breve – e, perciò, efficace – sul complesso rapporto “artista-industria dello spettacolo”, esso è impeccabile, quanto doloroso, svolgimento di un tema sempre attuale dal titolo “Artista = genio e sregolatezza”.
“Per voi non è che un film, per me è la vita intera” avrebbe chiosato il suo allievo prediletto al termine di una lunga intervista tripla con il Maestro. Le risposte dei tre Hitch non l’avrebbero deluso: un sogghigno, un OK e un pacato “buon divertimento”…