Song to Song / Back to Back
Vorrei poter scrivere di Song to Song senza il timore reverenziale che ammanta la figura di uno dei registi che più hanno innovato e affascinato Hollywood, vorrei poterne scrivere senza quel debito che si ha nei confronti dell’autore di pellicole come I giorni del cielo o La sottile linea rossa, soprattutto vorrei poterne scrivere senza aver assistito alla parabola cinematografica di un Terrence Malick che sembra avere sempre meno cose da dire e meno idee originali su come esporle.
Con Song to Song, Malick formalizza un linguaggio cinematografico già codificato nei più recenti lavori, elevandolo forse a un marchio di fabbrica, ma riducendo le aspettative dello spettatore al solo aspetto estatico della visione, con l’aggravante che la ricerca spasmodica di un estetismo ipertrofico sfocia spesso in un manierismo fine a sè stesso, inconcludente e vacuo, così vicino nella forma ma talmente lontano nella sostanza da quello di The Tree of Life da risultare quasi stucchevole.
Anche in questo ultimo lavoro Malick esplora le dinamiche personali e interpersonali (fisiche e metafisiche) di personaggi facilmente riconducibili a classici archetipi, in bilico sulle loro vite e alla ricerca, più che di una destinazione o di un traguardo, di un modo di sfuggire dall’ordinario attraverso la musica, il sesso, l’amore, utilizzati come una sorta di riti apotropaici attraverso cui riscattare le proprie ambizioni o accettare consapevolmente che non si può avere tutto ciò che si desidera.
Tutto questo con il solito ampio uso della voce fuori campo, che lascia alle immagini il compito di raccontare, e a volte contrastare, stati d’animo e riflessioni (di un cast come al solito stellare) senza restituire risposte o avanzare tesi riguardo gli interrogativi sollevati; con un montaggio (di certo la cosa migliore del film) così lieve da rendere la visione quasi onirica; con un uso della macchina da presa che solo da un grande come Malick ci si può aspettare; con una sceneggiatura troppo abbozzata e troppi spazi lasciati all’improvvisazione.
Ciò che rende davvero imperdonabile questo film é la ripetività di analisi delle stesse tematiche con l’utilizzo dei medesimi linguaggi, la vicinanza di schemi narrativi così simili e in tempi così brevi (per un cineasta che, prima di To the Wonder, aveva girato appena cinque film in quarant’anni) da rendere Song to Song un film banale e già visto (nella cinematografia malickiana, ovviamente), che sembra girato in back to back con quelli che lo hanno preceduto e che nasce già stanco e vecchio