Noi siamo loro…

… e loro sono noi. È una delle frasi più usate – spesso abusate – nel cinema, nella comunicazione, nella pubblicità, nei tentativi di far colpo a una cena o su una ragazza. Che si parli dei microbi che albergano nel nostro corpo, che lo dica Mario Monti qualche giorno prima delle elezioni riferendosi all’Europa, che si alluda al rispetto per i diritti umani e alla diffusione dei diritti civili, che lo si eserciti come comprensione pelosa e interessata o che si tratti della protagonista del remake de La notte dei morti viventi diretto da Tom Savini, in realtà poco importa: l’assimilazione, la trasparenza, la permeabilità, la consapevolezza, il rovescio, la sfumatura (tra male e bene), l’attraversamento dei confini e il ribaltamento degli eroismi, il riconoscimento di sé nell’altro, la sovversione dei ruoli, la fobia che nasconde la filia, sono elementi narrativi quotidiani, di cui si può avere il coraggio o nascondere, che si possono rappresentare o subire, e che il cinema impugna fiero nella suo volontà mitopoietica di scuotere il reale attraverso i suoi fantasmi.

Sarebbe semplice domandarsi quanto i nostri rappresentanti politici siano, appunto, rappresentativi del paese, oggi, poco dopo le elezioni. Sarebbe più interessante chiedersi se il voto vada per somiglianza o desiderio, se chi siede in parlamento debba essere uno di noi (come in Freaks di Browning) o riassumerci nel meglio, quanto davvero noi siamo loro e loro siano noi. In questo numero di BILLY, per quanto non richiesto, potete leggere anche questa trama, nei pezzi e nel respiro complessivo della rivista. Forse capiremmo, così, che parte dei problemi del cinema italiano sta forse nel suo pubblico, a tratti barbaro, spesso caciarone, provinciale, non così di rado culturalmente putrido. E magari potremmo desumere che noi siamo la nostra rappresentazione, la nostra rappresentanza, la nostra immagine e somiglianza… Così abbiamo voluto parlarvi, decidendolo in tempi non sospetti, quasi in azzardo, di due pellicole che hanno ispirato il resto del numero, due film di difficile distribuzione e reperibilità – anche se uno dei due di recente è stato baciato da più di una nomination agli Oscar (e aveva già vinto la Camera d’or a Cannes).

Re della terra selvaggia (Beasts of the Southern Wild, 2012) di Benh Zeitlin è una pellicola di rara forza, che racconta, tra le altre cose, di come le beasts del titolo originale siano la rappresentazione di archetipi personali, di paure che albergano dentro di noi, che sono parte di noi e che ci somigliano, paure che possiamo elaborare solo (ri)conoscendole. Così come Brillante Mendoza ci porta, con Captive (Captive, 2011), dentro la giungla filippina, in mezzo alle preghiere della Huppert, dove il Bene e il Male sono sì piuttosto chiari ma è il loro rapporto incestuoso, la sua soluzione e le conseguenze esterne e dall’esterno necessariamente provenienti, a essere un generatore di trasparenze e(ste)tiche e di riflessione (nel senso degli specchi).

E voi? Chi siete voi?

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