Anora: una screwball comedy sulla sopravvivenza nel capitalismo contemporaneo
Una Palma d’Oro che diventa Oscar
Con Anora, presentato in concorso al Festival di Cannes 2024 e poi trionfatore agli Oscar 2025 (miglior film, miglior attrice protagonista, miglior regia, sceneggiatura originale e montaggio), Sean Baker affina la sua poetica degli spazi marginali e compone il suo film più stratificato. Un’opera che si apre con una transazione — un favore sessuale mediato dal denaro — e si chiude con qualcosa di più raro e potente: il rifiuto di una donna di essere ridotta a funzione narrativa, di farsi cancellare. È un film che danza su un filo teso tra screwball comedy e noir sociale, tra l’incanto grottesco del sogno americano e la sua inevitabile implosione.
Una favola moderna tra Brooklyn e Las Vegas
Ambientato tra la New York notturna di Brooklyn e Manhattan e l’eccesso surreale di Las Vegas, Anora racconta la storia di Ani (Mikey Madison), una sex worker che lavora in uno strip club e viene ingaggiata per accompagnare Vanya (Mark Eydelshteyn), giovane figlio di un oligarca russo. Vanya, più che un principe, è un eterno bambino cresciuto in una bolla di ricchezza, che si affeziona ad Ani e le propone un accordo: $15.000 per una settimana da fidanzati, che culmina con un matrimonio-lampo a Las Vegas. Un’unione che dovrebbe essere solo un escamotage per ottenere la green card, ma che innesca un contraccolpo furioso da parte della famiglia di lui. E mentre Ani tenta di difendere quel frammento di possibilità, i genitori di Vanya inviano tre emissari per sistemare le cose in silenzio.
Rifare la screwball nel XXI secolo
In questa battaglia tragicomica tra fantasia e realtà, Baker mette in scena una riscrittura brillante e feroce della screwball comedy. Il modello anni ’30 — coppie in fuga, dialoghi serrati, scambi di ruoli e sovversioni di classe — viene destrutturato, reso instabile, inserito in un contesto iper-contemporaneo, dove ogni gesto è carico di significati economici e politici. L’umorismo slapstick si intreccia con una tensione palpabile, e i gangster di seconda mano — Toros, Garnick e Igor — si trasformano in figure quasi beckettiane, bloccate in una notte di tentativi falliti e goffe intimidazioni.
Tra loro spicca Igor (Yuriy Borisov), enigmatico osservatore che sembra inizialmente l’ennesimo scagnozzo in uniforme sportiva e sguardo vacuo. Ma è lui, con la sua silenziosa presenza, a costituire l’inaspettata bussola etica del film. La regia lo isola nei momenti chiave, gli affida il compito di guardare davvero Ani. Il rapporto tra Igor e Anora si muove in controtendenza rispetto a ogni cliché narrativo: non è una love story, né solidarietà, ma diventa sul finale un rapporto di riconoscimento reciproco del proprio ruolo nel mondo che lascia lo spazio alla vulnerabilità.
Mikey Madison & la sua Anora
Il cuore pulsante del film, però, resta Mikey Madison. La sua Ani è un personaggio scrivibile solo da chi conosce davvero la contraddizione e la resistenza. Non c’è idealizzazione né pietismo, solo una lucidità tagliente e una volontà feroce di sopravvivere. Anora non è una “prostituta dal cuore d’oro” né una calcolatrice fredda: è una donna che cerca un varco, che tenta di trasformare un atto performativo e goliardico — il matrimonio a Las Vegas — in qualcosa di concreto, in una promessa di stabilità.
Le sue motivazioni restano volutamente sfuggenti: sta cercando di mettere in salvo il proprio futuro, di garantirsi un margine, forse anche di credere nell’illusione romantica che il suo cliente sia qualcosa di più. Probabilmente tutte queste cose insieme: una che fa quello che può con quello che ha, nel mondo che c’è. Il film ruota attorno a questo: l’equilibrio instabile tra affetto e calcolo, tra bisogno di legame e strategia di sopravvivenza. Ani sa che il matrimonio con Vanya è un’opportunità, ma sa anche che ogni passo falso potrebbe costarle tutto. Anora, in questo senso, è un film sulla gestione del rischio — emotivo prima ancora che economico — e sul costo nascosto di ogni tentativo di emancipazione. Baker riattiva così il motore originario della screwball comedy: non solo scambi di ruolo o battibecchi brillanti, ma uno scontro di classi che si disallinea a ogni gesto.
Il cinema di Baker & altri riferimenti
Se in Red Rocket e The Florida Project il margine restava il luogo dell’osservazione, qui Baker lo fa scontrare frontalmente con il centro del potere. Vanya non è solo un ricco viziato: è l’allegoria di una mascolinità disinnescata dalle proprie responsabilità, figlia di una ricchezza che corrompe e deresponsabilizza. Vuole vivere l’America come un parco giochi: dalle ballerine ai neon, da Las Vegas ai cocktail serviti nel locale giusto. Ani, invece, crede che la loro unione possa significare qualcosa. E mentre lui gioca all’amore, lei rischia tutto.
In filigrana, il film dialoga con una costellazione di riferimenti, tra cui fra tutti anche Showgirls. Il paragone è inevitabile non solo per via del mestiere di Ania, ma perché anche lei, come Nomi Malone, è un corpo giudicato, classificato, scartato. Ma dove Verhoeven usava l’eccesso e il camp per denunciare il cinismo dell’entertainment, Baker resta aderente al quotidiano. Qui il sesso non è uno spettacolo, è un lavoro come un altro, con le sue regole, i suoi rischi e il suo carico di dignità. Ci sono anche chiaramente altri riferimenti: Pretty Woman, Midnight Cowboy, e Le Notti di Cabiria, che fanno da canovaccio per illuminare la sensibilità documentaristica di Baker che mantiene sempre una vicinanza tattile ai suoi personaggi.
Conclusioni
Infine, ciò che Anora chiede per tutto il film non è tanto se la protagonista riuscirà a cambiare status, ma se riuscirà a farlo senza essere punita per averci provato. È un film che interroga il concetto stesso di mobilità sociale, e lo fa con il passo della commedia, ma il peso specifico del dramma. Lì dove l’America si racconta come luogo di opportunità, Anora mostra le sue zone d’ombra: le porte che si chiudono, i matrimoni annullati, le donne che resistono.