INDOCILI #5 – IL COMPLEANNO DI ENRICO | TUTTO APPOSTO GIOIA MIA
Martedì 15 aprile INDOCILI torna al Cinema Beltrade. Il quinto appuntamento della rassegna organizzata dall’associazione TAFANO esplora il passaggio fra adolescenza ed età adulta con un corto e un lungo molto diversi tra loro, ma accomunati dall’esercizio della memoria attraverso lo strumento filmico. L’evento di martedì sarà in collaborazione con Incompetenti Podcast e vedrà la speciale partecipazione di Cristina Resa.
Il rapporto con i ricordi e con il proprio passato è un tema che abbiamo già incontrato durante la quarta stagione di Indocili. Dopo il corto Au Revoir, Pugs di Allen Smith e A missed call di Francesco Manzato, come per certi versi anche Taxibol, il mediometraggio di Tommaso Santambrogio presentato il mese scorso, martedì si riapre il discorso sulla memoria, questa volta con le opere del regista veneto Francesco Sossai e della regista italo-spagnola Chloé Lecci Lopez.
Il compleanno di Enrico, firmato dal regista Francesco Sossai, è un film sull’infanzia e sulla memoria, sui ricordi sfumati da ricomporre pezzo dopo pezzo. Girato in pellicola, il corto nasce da un ricordo d’infanzia del regista che ci riporta nel dicembre del 1999, quello dell’ansia collettiva per il Millenium Bug, e gioca tra atmosfere oniriche e realtà. La paura dell’ignoto, l’incertezza del trapasso visti dagli occhi di un bambino: è tutto perfettamente condensato nel racconto di un pomeriggio trascorso alla festa di compleanno del decenne Enrico, compagno di scuola di Francesco, nel casale in campagna del bellunese. Un’atmosfera segnata dall’euforia della festa e, allo stesso tempo, dall’indecifrabile sensazione che qualcosa di strano stia per accade, Francesco arriva a casa di Enrico accompagnato dal padre, tra l’imbarazzo per un outfit sbagliato e la voglia di fare ciò che serve per sentirsi parte del gruppo. È una festa di compleanno come tante di quelle vissute da tuttə noi a quell’età, ma in cucina c’è una nonna paralizzata sulla poltrona che, a un certo punto, sparirà; un padre burbero di rientro a casa con i suoi colleghi e, defilato, lascia un regalo tra le mani del figlio; una madre, quella del festeggiato, trasuda tensione nonostante sorrisi accomodanti. Nel corto, mondo dei bambini e mondo degli adulti vengono rappresentati attraverso una serie di dettagli apparentemente irrilevanti.

Sossai prova dunque a mettere a fuoco dei ricordi personali sbiaditi dal tempo, definendo nitidamente parte dell’universo emotivo del decenne che tuttə noi siamo statə. Il notevole lavoro con la luce e il buio, le ambientazioni e la recitazione ha creato un’atmosfera sospesa tra giallo e horror, dove è percepibile il senso di attesa che si avverte quando l’ordinario è minacciato dall’ignoto e dall’impossibilità di immaginare quello che verrà, proprio come in un pomeriggio a ridosso del Millennium Bug. Attraverso lo sguardo del decenne Francesco, vediamo un reale dilatarsi e restringersi davanti a noi, deformandosi come in incubo ma risultando terribilmente familiare come in una propria pagina di diario. Nel ricostruire tutto questo, il regista gioca con il reale e l’onirico per recuperare ciò che il tempo ha sfumato, muovendosi nella zona grigia dei ricordi d’infanzia e provando a portare sul grande schermo lo sguardo del sé bambino, vent’anni dopo.
Il corto rientra a pieno merito in quel filone cinematografico maturo in grado di giocare con il genere e aprire riflessioni sul rapporto con il passato, con i propri ricordi – quelli che il tempo riduce a pochi ma chiari elementi cristallizzati – e con la propria terra d’origine, elemento già presente nel precedente lavoro Annibali (2021) e protagonista anche nel prossimo Le città di pianura, selezionato al Festival di Cannes 2025. Un certo genere di cinema che osa senza spavalderia, riesce e colpisce.

AncheTutto apposto gioia mia di Chloé Lecci Lopez ci riporta, a modo suo, alla riflessione su memoria e infanzia. Ma lo fa attraverso il documentario familiare, strumento scelto dalla la regista italo-spagnola per ricostruire parte della sua infanzia.
Dal giorno dell’arresto del padre, Chloé Lecci Lopez ha registrato le loro telefonate, ma sarà la sua permanenza estiva a Catania, nella casa paterna con i nonni, a trasformarsi nel viaggio alla riscoperta delle proprie radici. La regista, infatti, adotta un approccio immersivo e segue i suoi interlocutori come un’ombra, raccogliendo racconti spontanei e intimi. Questi racconti non solo delineano i contorni della figura paterna – di cui sentiamo solo la voce fuori campo – ma aprono anche uno squarcio su cosa significhi nascere in un contesto segnato dalla corruzione e dagli stereotipi. Non a caso il documentario di Lecci Lopez corre lungo due binari temporali: il passato delle radici familiari, il presente di una generazione che vive in provincia e prova a immaginare un futuro. Le conversazioni con i nonni si alternano alle chiacchierate con il giovane Giulio, catanese alle prese con le incertezze tipiche di quell’età. Le lunghe e ampie inquadrature, dove i silenzi contano tanto quanto i rumori in sottofondo, regalano una serie di ritratti intimi dei personaggi e della città, tra nostalgia, malinconia e rabbia.
Tutto apposto gioia mia, unendo interviste, filmati di famiglia e materiale d’archivio, tocca il tema dell’identità e della scelta, e di come la seconda possa determinare la prima. Un capitolo di cronaca familiare capace di carpire i sentimenti più profondi senza mai eccedere, uno sguardo sulla terra d’origine ritratta contemporaneamente come condanna e salvezza. Il documentario di Chloé Lecci Lopez, oltre a indagare il desiderio di una figlia di risalire le proprie radici, fa dell’esercizio del ricordo e della narrazione autobiografica due strumenti potenti per riallacciarsi al presente.