West of Babylonia, di Emanuele Mengotti
Primo documentario di Emanuele Mengotti, e capitolo iniziale della sua saga americana – il secondo, Rosso di sera, è su Las Vegas e le contraddizioni dell’America Trumpiana – West of Babylonia è la testimonianza della vita a Slab City, villaggio nel sud est della California abitato da libertari, emarginati, hippies, tossicodipendenti, idealisti: tutti membri di una comunità indipendente lontana dalle costrizioni economiche e sociali del mondo circostante. Da vedere alla Sala San Luigi di Forlì, mercoledì 29 gennaio, alla presenza del regista, all’interno della rassegna Frammenti d’America.
A ogni potere dominante corrisponde una risposta assertiva, chi si adatta o agisce nei limiti predefiniti, e opposta, chi vive, per ragioni politiche, sociali o ideologiche, fuori dagli schemi comuni. Rendersi indipendenti dalle costrizioni della società è da sempre pratica diffusa: dagli eccentrici poeti girovaghi nella Cina pre-moderna osteggiati dalla dinastia Jìn, ai New Age Travellers perseguitati nell’Inghilterra Tatcheriana, fino agli esempi contemporanei degli squatters, dei quartieri anarchici spagnoli e greci, degli eco-villaggi, dei nomadi, degli elfi.
Gli Stati Uniti, apoteosi della forza del capitale in tutte le sue forme – controllo politico e lavorativo, assicurativo e culturale in nome dell’egemonia del dollaro e della realizzazione del sé – diventano spesso lo spazio ideale per la nascita di movimenti che reclamano l’indipendenza dei propri membri dalle imposizioni del mondo esterno. Slab City è una di queste comunità.
Mengotti è italiano, vive negli Stati Uniti dove si è trasferito dopo la laurea. Girovagare da est a ovest, come un Carnevali contemporaneo, gli ha permesso di incontrare i protagonisti di questo documentario; soggetti cari ad altri registi italiani, come in Last Stop Before Chocolate Mountain di Susanna Della Sala (anche questo in programmazione alla Sala San Luigi, lunedì 3 marzo), sulla comunità di Bombay Beach, insediatasi sulle rive del Dalton, un lago nel sud della California devastato da un disastro ambientale; o, ancora, Louisiana (The Other Side) di Roberto Minervini, sugli emarginati nelle foreste della Louisiana. Rispetto al tono onirico di Della Sala e al realismo poetico di Minervini, Mengotti appoggia la camera sui tavoli delle cucine, nei camper, nelle aie, nei cortili, nei luoghi in cui i suoi personaggi vivono, senza un particolare scopo espressivo o estetico, che qui sarebbe superfluo. Così, fuori dalla moderna Babilonia – termine dell’immaginario americano fin da Hollywood Babilonia di Kenneth Anger – intesa dai marginali come l’America contemporanea fatta di capitale, modernità, progresso incondizionato e mondialismo, gli “altri” creano il proprio universo in cui le giornate scorrono senza particolari obblighi, se non quelli di vivere o sopravvivere.
La scelta di estraniarsi dal mondo sociale così come inteso dalla maggioranza ha spesso due matrici. La prima, una matrice astratta e più ideologica, deriva dal privilegio della scelta, ed è più isolamento che emarginazione; è quella di chi prende la decisione legittima di allontanarsi dalla cultura in cui è cresciuto per assumere stili di vita alternativi; ma gli emarginati di West of Babylonia, e di altre esperienze simili, in molti casi non sono persone che, dopo aver sviluppato una precisa coscienza politica, scelgono di allontanarsi; è invece il sistema stesso a spingerle fuori dai propri confini, rilegandole a una vita nel deserto, lontano dallo sfarzo veloce del turbo capitale americano. Fanno quindi parte di un secondo gruppo di persone: quelle che assumono stili di vita alternativi perché costrette a scappare dai canoni del mondo di provenienza; canoni impraticabili per chi, a vederci bene, non ha nemmeno il privilegio di provare ad adattarsi. Le conseguenze sono davanti alla camera: una vita priva di schemi, orari, dettami sociali e politici. Ma, senza idealismi, il bello del ritorno a un’esistenza genuina e senza oppressioni convive con le complicazioni di una quotidianità difficile e a tratti scomoda.
La camera ferma, le parole degli abitanti di Slab City, il cinema sincero derivato da una naturale propensione alla curiosità umana di Mengotti diventano gli ingredienti di un film che riporta ai quesiti cardine della nostra cultura liberale: dove sta la libertà, quella più pura e selvaggia? Dove sono, se ci sono, i suoi confini? E, soprattutto, quali sono le sue conseguenze? Chi si può dire libero?