Il cielo brucia
Potremmo dire che senza Festival di Berlino non c’è Christian Petzold, visto che La Berlinale è la rassegna dove il regista nato a Hilden ha presentato la quasi totalità della sua filmografia (al momento composta da 10 film). Un cinema, quello di Petzold, intriso di sogni, di politica, di fantasmi, di tempi sospesi e che ha attraversato vari generi come il noir, il dramma sentimentale, il fantastico, accompagnandoci dall’inizio del nuovo millennio fino ad oggi.
L’ultima opera del regista tedesco Il cielo brucia (Roter Himmel – 2023) ha vinto l’Orso D’argento per il Gran premio della Giuria alla 73° edizione del Festival di Berlino ed è un film di estrema attualità, che mette a fuoco l’animo umano quando si trova davanti a una crisi e cerca una strada per affrontarla.
Felix e Leon sono due giovani amici che decidono di trascorrere le vacanze insieme in una casa in mezzo al bosco poco distante dal Mar Baltico con l’intenzione, il primo, di preparare un portfolio per l’ingresso all’accademia di belle arti, mentre, il secondo, di terminare il suo romanzo prima che arrivi il suo agente letterario. Arrivati, scoprono però che la casa è già stata affittata da una ragazza, Nadja, a cui si aggiunge il suo momentaneo ragazzo Devid, da cui Felix si sente attratto, così come Leon da Nadja, ma la convivenza tra i quattro si fa presto difficile soprattutto per l’atteggiamento scontroso di Leon. Ad alimentare la tensione si aggiunge poi un incendio nel bosco che si avvicina sempre più all’abitazione dei ragazzi.
Il film è il secondo capitolo di quella che doveva essere una trilogia dedicata agli elementi naturali: il primo – Undine (2020) – l’acqua, Il cielo brucia il fuoco, ma il terzo progetto è stato accantonato a favore di un’altra idea: fare film su gruppi di persone che cercano di sopravvivere, come nel caso di Roter Himmel, perché quella di Petzold è un’opera in cui ci sono e accadono poche cose e dove l’animo umano è l’oggetto di studio. Spicca il personaggio di Leon (Thomas Schubert) capace solo di concentrasi su se stesso e sul suo romanzo, di non vedere niente di quello che gli accade intorno e di non fare nulla per aprirsi, chiudendosi totalmente nel suo egoismo da cui prova a farlo uscire Nadja (Paula Beer – arrivata al terzo film consecutivo con Petzold e ormai nuova attrice “feticcia” del regista dopo i sei film con Nina Hoss), una figura dinamica, misteriosa, a tratti quasi magica, che prova a fungere da collante tra Leon e l’altro/gli altri. Per Felix e Devid invece tutto sembra più facile, naturale, leggero, automatico.
In un’intervista Petzold ha detto: «In Italia se si cercano risposte si va a guardare il mare, in Germania si va nel bosco, ma se quest’ultimo brucia allora diventa difficile orientarsi, capire come affrontare la crisi» e la crisi di Leon è la crisi dell’uomo contemporaneo: egoista, accentratore, chiuso in un microcosmo personale, capace sempre meno di relazionarsi col prossimo e costretto solo dagli eventi a rimettere in discussione se stesso, i suoi modi, i suoi atteggiamenti, il suo stesso lavoro. Più l’incendio si avvicina e si allarga e più l’animo di Leon è in subbuglio, ma il fuoco è sì un elemento distruttivo, ma anche purificatore e, come il mito dell’araba fenice insegna, dalla ceneri si può rinascere.
Distribuito in Italia sciaguratamente in pochissime sale, Il cielo brucia conferma ancora una volta, senza che ce ne fosse bisogno, il talento di Petzold che, arrivato all’età di 63 anni, risulta ancora un regista sconosciuto ai più (escluso l’ambiente cinefilo), e nella speranza che il tempo gli riconosca la visibilità che merita, andiamo avanti con il suo cinema che, per fortuna, ci accompagnerà ancora.