L’agnello
“Anzi io direi che è giunto il momento di cambiare il nome alla nostra isola,
Giampaolo Loddo, Monologo Sardegna in C’è poco da ridere
la vogliamo chiamare Cala is cartzonis?
E poi dicono ancora: “Per voi Sardi l’amicizia è sacra!”
Certo, sicuro. Perché da noi l’amicizia poggia su solide basi, basi Nato naturalmente,
e così ci siamo fatti tanti altri ospiti, tanti altri amici.
Ce li siamo fatti a Capo Teulada, a La Maddalena, a Perdasdefogu, Decimomannu“.
Rappresentare un determinato luogo geografico senza incappare in stereotipi o clichè è un’impresa assai difficile e questo vale molto per le aree geografiche che hanno avuto e che hanno tuttora scarsa visibilità. È sicuramente difficile, allo stesso tempo, restituire quella complessità che invece compone i territori e le persone che ci abitano.
È questa la caratteristica più importante del film di Mario Piredda “L’agnello”. In una Sardegna in cui si fa fatica a tirare avanti e ad avere un lavoro che non sia precario, i personaggi sono spinti dalle vicissitudini che in quella terra si verificano. Così succede che la Sardegna, famosa per le bellezze naturali, è anche una delle regioni più militarizzate in Europa. Esistono, infatti, tre poligoni militari utilizzati dal Ministero della Difesa italiano, dalla NATO e da Stati non appartenenti all’alleanza atlantica. Cosa succede in questi luoghi? Da ottobre a maggio iniziano le esercitazioni militari: non si tratta soltanto di addestramento stile Full Metal Jacket, ma di vere e proprie guerre, con tutte le conseguenze che l’uso di artiglieria militare comporta.
Qui una mappa con le spiegazioni:
Tanto invasive come operazioni che un posto isolato e mezzo sconosciuto come Quirra “ha dato” il nome a una Sindrome, appunto, la Sindrome di Quirra: causata, come era successo durante le guerre dei Balcani e di Iraq, dall’esposizione all’uranio impoverito.
“Da questa nuvola si vedono volare gli elicotteri
Piero Marras, Si deus cheret in Fuori Campo
che stan giocando a far la guerra
in mezzo ai fenicotteri.
Le truppe italiche
mandate come antidoto al malessere
hanno già nostalgia di casa
e brufoli da crescere.
Ma per fortuna anche stanotte la notte passerà
e finché il mare non ci inghiotte noi resteremo qua
e finché il mare non ci inghiotte noi resteremo qua
Si deus cheret
e sos carabinereis lu pirmittini
si cheret deus
e sos carabinereis lu pirmittini“
Questa premessa è doverosa, perché ne L’agnello le basi militari esistono e causano danni, al protagonista e al resto della popolazione. Nel film di Piredda si respira sincerità, onestà, volontà di autorappresentazione. È una presa di posizione, è un salire sul palco e parlare a voce alta, con la classica sfrontatezza cagliaritana di Anita (una Nora Stassi spettacolare) e con la durezza di un genitore (Jacopo) che deve fare i conti con una malattia e con una situazione familiare disastrosa, come ce ne sono tante.
Allora mi sono chiesto: dove stanno le mie radici? Sono in una terra circondata dal mare, nelle sue caratteristiche, nelle sue rappresentazioni? O sono in un’idea (o forse ideale) di benessere collettivo di cui partecipiamo tuttə responsabilizzandoci su quali sono i mali di quella terra?
Un ragionamento che, ovviamente, possiamo allargare a livello globale, ma che deve iniziare nel locale in una sorta di quartierizzazione delle lotte politiche.
Ho anche pensato che le radici le senti di più quando ti allontani da esse, forse perché si tendono, tirano, non ti abbandonano e cercano di riportarti nel luogo in cui sono incastonate a terra. Ma le radici non sono un luogo fisico, sono, piuttosto un luogo dell’anima, sono il sentimento di connessione con qualcosa e/o qualcunə.
È così quindi che mi sto rendendo conto che delle radici per come sono sempre state intese, forse, non le ho, ma che sento questo sentimento di connessione verso tante cose e tantə qualcunə.
Quindi perché parlare de L’agnello proprio in relazione alle radici? Perché è un film che mi ha fatto sentire a casa come poche volte mi è successo guardando film incentrati sulla Sardegna (per quanto Sardegna voglia dire tutto e niente). Un film che mi ha fatto sentire me stesso, con quell’accento così ruvido e, apparentemente, poco scenico; con quei luoghi incontaminati e con quegli altri invece troppo contaminati da prevaricazione, sfruttamento e opportunismo (in una parola: guerra).
Un film che sento mio e che ora potrò inserire tra le mie radici.