The Old Oak – La speranza è oscena
“Cerchiamo tutti un capro espiatorio. Quando la vita non va, cerchiamo chi è più in basso di noi per calpestarlo.” afferma Mr. Ballantyne.
Essere parte di una minoranza significa essere più in basso all’interno di una società? Tale condizione rende più facile essere calpestati e di conseguenza additati in quanto colpevoli?
Questo è ciò che avviene nel villaggio della contea di Durham, al centro di The Old Oak, il nuovo film di Ken Loach. In questa cittadina mineraria del Nord dell’Inghilterra l’arrivo di profughi siriani creerà tensioni con gli inglesi del posto.
Non è forse attuale?
Fra i clichè più gettonati quante volte è stata ripetuta la frase “non sono razzista ma loro vengono qua e ci rubano il lavoro”? Quanto è colpevole la frase stessa in sé? Quanto è colpevole la ricerca stessa di un colpevole? La vera sapienza consiste nella consapevolezza della propria ignoranza, ma chi è disposto ad ammettere la propria ignoranza? Un ago in un pagliaio, un granello di curcuma in un mercato di spezie, una goccia in un oceano di ottusità dove il so di non sapere è remoto e il cambiamento sembra irraggiungibile, la ripetizione del luogo comune è comoda.
TJ Ballantyne, proprietario del pub “la vecchia quercia” e Yara, giovane immigrata siriana stringono un intenso rapporto di amicizia e di apertura a discapito del bigottismo razzista e del decadimento della compassione al di là delle politiche xenofobe sull’immigrazione di un governo conservatore.
La speranza è oscena dice Yara in una scena del film, è oscena anche solo pensarla, laddove le tradizioni sono intolleranti, xenofobe, razziste, patriarcali e discriminanti, sulle quali si fonda una società che costringe i propri cittadini a credere che il cambiamento sia immorale.
Osceno sarebbe altresì non pensarla come Loach, un film giusto, di principio, necessario ma al tempo stesso eccessivamente idealista e banale, documentaristico e a tratti manipolatore, costringe lo spettatore a capire fin da subito da che parte stare senza lasciare che sia esso a decidere, caratterizzando estremamente entrambe le parti, i buoni e i cattivi, perdendo così di convinzione. Ricalca attimi di estrema drammaticità, per tenere viva l’emozione dello spettatore, per finire sfociando in uno slancio utopico di condivisione del lutto che unisce tutti.
Che il sangue dalla società ricada su di noi e i nostri figli.