Tre colori – Film bianco

Tre colori – Film bianco

Film bianco è un film sull’abbandono, sul desiderio di amare qualcuno all’interno della propria solitudine, è un film sulla cultura della differenza, sull’égalité tra uomo e donna, tra uomo e società.
Film bianco è un’opera sul denaro come strumento di dominazione, come mezzo per essere identificati e classificati all’interno della società, è un film sul capovolgimento della sessualità patriarcale maschile.
Film bianco è un film sul decadimento e la rinascita, sul riscatto che passa attraverso la perdita di sé stessi, l’umiliazione, gli incidenti emotivi, la rovina, la sete di giustizia e la sete di vendetta in un mondo capitalista e individualista. È un film sulle estreme conseguenze, la vedovanza dei sentimenti, l’inganno di soddisfacimento attraverso il sesso e il denaro.

Karol (Zbigniew Zamachowski) è un uomo qualsiasi, un parrucchiere polacco di Parigi che non riesce a consumare il matrimonio con Dominique (Julie Delpy) e per questo è costretto ad accettare il divorzio da sua moglie. Si ritrova per strada, senza una lira e senza passaporto. L’incontro con il connazionale Mikolaj cambierà le redini della storia, Karol tornerà in Polonia dove escogiterà la sua ascesa e la sua vendetta, nonché riconquista, nei confronti dell’ex moglie.

Karol è tenero e goffo, ascende nel capitalismo barbaro senza farsi corrotto, senza alcun interesse nella seduzione della ricchezza bensì spinto da altri desideri, riesce nel cambiamento e si trasforma in un uomo d’affari. Il male del capitalismo ritratto con la frase ridondante “Si può comprare tutto”, Kieslowski mostra una Polonia dove si può ottenere qualsiasi cosa, anche un cadavere, è sufficiente avere denaro, senza vincoli morali non è difficile realizzare i propri profitti.

Karol attraversa il dolore, la disperazione, le prove, il riscatto, la strada sterrata per conquistare l’uguaglianza, la possibilità di comunicare e finalmente parlare la stessa lingua di Dominique. «Dov’è l’uguaglianza?» chiede Karol al giudice in tribunale «Solo perché non parlo la stessa lingua la corte si rifiuta di ascoltare i miei argomenti?»

È un film sul passato che elabora il futuro, sull’appartenenza alle proprie origini, la neve che ricopre la discarica a Varsavia e che fa esclamare al protagonista «Finalmente a casa!», luoghi lontani di appartenenza e il ritorno a essi, la necessità di tornare per andare avanti.

È un revenge movie, è un film di disperazione che porta alla riconquista e all’attivazione della volontà, all’evoluzione dello stato d’animo dall’insicurezza alla piena coscienza delle proprie capacità e alla risalita, all’evoluzione come processo interiore che si manifesta anche nell’esteriorità, Karol che non alza i piedi ma li trascina, vittima degli eventi nei quali si trova coinvolto, trascinato dalla corrente delle decisioni altrui. Il contrasto tra il lato asettico e quello sporco, il volo libero dei piccioni nei flashback del matrimonio in contrapposizione agli escrementi dei volatili sul soprabito di Karol quasi come un insulto alla sua visione differente del mondo, il canto del battito d’ali che ricorre come un mantra, la forza di un ricordo che scatena la perseveranza nell’affrontare le prove, la necessità di disfarsi, raggiungere il punto più basso per poi ricrearsi e rinascere.

L’incontro con Mikolaj è rivelatore, sono due opposti di una scala sociale, uno non ha più nulla, l’altro possiede tutto ma è vittima di uno stato d’infelicità costante. Al di là dei possedimenti, al di là della propria condizione sociale e delle proprie convinzioni nasce un rapporto cruciale nelle rispettive vite. Rivelatori sono gli incontri che Kieslowski dissemina nel destino dei personaggi della trilogia, decisivi nel percorso della storia. 

Viene da chiedersi, perché l’uguaglianza di Karol riesce a compiersi esclusivamente nel momento in cui indossa gli abiti dell’affarista e dell’uomo senza scrupoli? Perché è necessario indossare una maschera per essere riconosciuti? Perché l’umiltà e l’ammissione delle fragilità emotive e materiali vengono ignorate o intese come debolezze da emarginare? Essere diversi implica un’impossibilità all’uguaglianza? Ma poi essere diversi rispetto a cosa?

Film bianco, come tutta la trilogia dei colori, è pornografia del dolore ma in questo rappresentare ci si sente compresi e inevitabilmente meno soli.

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