Il peso di ogni partenza
Nei mesi appena trascorsi abbiamo cercato di dimostrare quanto il cinema abbia il potere di dare allo spettatore l’illusione di abitare fugacemente un altro universo mettendolo in realtà in contatto con il nucleo più profondo di sé e quindi del suo rapporto con la realtà e la contemporaneità.
Abbiamo provato a stabilire che nel momento in cui decidiamo di superare quella soglia che ci accompagna nel mondo della finzione, non ci rapportiamo più con la semplice rappresentazione di un’immagine che qualcuno decide di scrivere, raccontare e montare, ma ci specchiamo con quella dimensione di noi che, pur distinguendone l’aspetto onirico e immaginario, ne avverte un contenuto tangibile, prossimo, quasi personale, alimentando un’illusione, promossa dall’incoscienza della nostra parzialità, in cui lo spettatore sente di essere abitato dagli stessi dubbi dell’eroe e di poter rendere esperibile, attraverso la propria coscienza, il percorso di formazione che nel viaggio dell’eroe si incarna.
Questo tipo di esperienza immersiva, che ci parla direttamente attraverso i secoli con il linguaggio dell’allegoria e del topos richiamando quel concetto junghiano di inconscio collettivo, attinge da un bacino di contenuti arcaici e oggettivi, da un modello comune e immutabile teorizzato da Joseph Campbell con il nome di monomito e che definisce in modo trasversale la struttura di ogni narratologia (dalla tragedia antica alla letteratura moderna, dalla mitologia alla sceneggiatura cinematografica) che – sintetizzando in modo brutale – coinvolge un personaggio che decide di accettare una sfida dalla quale esce vittorioso e mutato.
È dunque dal punto di vista dell’eroe che veniamo in contatto e interagiamo con la narrazione la quale, a un certo punto della storia, mette sempre il nostro personaggio di fronte al dilemma che lo spingerà a compiere il viaggio e lo accompagnerà fino alla sua conclusione.
A poche settimane dall’uscita di Oppenheimer BILLY ha deciso di dedicare una riflessione al tema da cui ha origine ogni storia: il dilemma.
Se partiamo dall’assunto tautologico che l’esito del viaggio non possa essere un valido mezzo di giudizio perché viziato dal peso della posterità, a prescindere dal suo essere positivo o negativo, perché non ha alcuna relazione con il senso interiore che ne ha provocato la necessità, il giudizio ricade per forza sul modo in cui è avvenuta la scelta e sulla sua dinamica pratica e sacrificale.
È attraverso la facoltà della ragione (intesa nel suo senso etimologico e filosofico) che passa il peso della scelta: dal modo in cui cerchiamo di spiegarci la realtà e le sue conseguenze oltre i limiti della nostra esperienza personale, tentando di separare la nostra soggettività dal concetto di bene e male, di giusto o sbagliato, sublimando il concetto di oggettività e contemplando unicamente l’idea che mette in moto l’azione perché la scelta, ancora prima che venga presa, assume un peso specifico diverso all’interno di ogni quotidianità e soggettività.
Preso atto che migliaia di anni di filosofia ci hanno dimostrato che nessuna teoria etica è in grado di evitare il dilemma morale, cercheremo di darne una lettura attraverso la lente del cinema, provando a definire i termini in cui la scelta influisce sul nostro quotidiano e sull’attualità, e di come anche il rifiuto alla scelta abbia anch’esso degli effetti, ché il desiderio di non comprometterci, per quanto possa sembrarci salvifico, ci rende comunque complici e a volte colpevoli.