L’emergenza come dispositivo per la creazione del consenso
Emergenza è un termine che porta con sé almeno due significati: da una parte individua un momento temporaneo non ordinario; dall’altra ha a che fare con la condizione di emergere da un posto sotterraneo o da una condizione sottomessa. E spesso queste due “qualità” sono connesse. Entrambe le concezioni, quindi, si confrontano (e si scontrano) con il potere e con il suo esercizio.
L’emergenza implica un esercizio di potere votato alla soluzione della problematica (in alcuni casi supposta) in tempi brevi, veloci. Va da sé, quindi, che il ragionamento viene calcolato sul breve periodo senza considerare le implicazioni future. Al contrario, l’emergenza da una condizione sottomessa richiede necessariamente una riflessione di lungo periodo per contrastare quelle forze che spingono verso il basso.
La domanda che sorge spontanea è: perché continuare a elaborare strategie di esercizio di potere emergenziali che sono necessariamente miopi? Nell’elaborazione di queste strategie entrano in concorso almeno tre forze: quella politica che opera e dirige la strategia, quella mediatica che diffonde e propaga la direzione, e quella securitaria che tramite le forze dell’ordine ha il compito di mantenere in equilibrio lo status quo.
Queste tre forze (e quindi la strategia emergenziale per creare il consenso) si possono spiegare facendo riferimento a tre film, diversi tra loro, ma che indagano proprio questo aspetto: Underground di Emir Kusturica, Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri. Tre grandi registi (e tre grandi film) che sono squisitamente politici.
Dice il co-direttore Marco Bacchi nel suo editoriale: «la narrazione continua e inesauribile di qualsiasi evento che venga trasformato in emergenza (in ordine sparso: migranti, terrorismo, sanità, questione idrica, ecc…) garantisce all’autorità non solo la fondatezza stessa della propria esistenza, ma anche la possibilità di ipostatizzare i fenomeni come fatti, senza la necessità di doverli analizzare, spiegare o comprenderne le cause». Ipostatizzare, certamente, ma anche reificare sia il concetto stesso di emergenza sia le persone che ne sono coinvolte.
È il caso, e qui vengono in aiuto i film precedentemente menzionati , di Underground, quando le persone vengono mantenute in un costante momento emergenziale (riflessione di breve periodo), anche una volta finita la Seconda Guerra Mondiale, all’interno di un rifugio sotterraneo. Soltanto l’emersione in superficie (riflessione di lungo periodo) farà rendere loro conto che quel dispositivo messo in piedi da Marko e Petar è solo un inganno. È il periodo straordinario che diventa ordinario, il sogno di qualsiasi autorità: comandare per emergenza.
Oppure, è il caso di Sbatti il mostro in prima pagina in cui la reificazione agisce sul personaggio della sinistra extra-parlamentare soltanto a fini politici e propagandistici, per mostrare come l’emergenza terrorismo sia più fondata che mai. Qui la stampa si fa portavoce di quelle istanze politiche, serve il potere, lo dota di un apparato autorevole laddove l’autorità risulta impotente (emblematica la figura del Questore nello specifico). Insomma, «contribuendone attivamente» come dice il Direttore Bizanti interpretato da Gian Maria Volontè.
E ancora, quando autorevolezza e autorità non bastano arriva in soccorso la terza forza, quella più esplicita, quella che Slavoj Žižek chiama violenza visibile: l’ordine, tanto più in un periodo di emergenza, deve essere mantenuto a qualsiasi costo. Del resto, «il popolo è minorenne, la città è malata. Ad altri spetta il compito di curare e di educare. A noi spetta il dovere di reprimere. La repressione è il nostro vaccino. Repressione e civiltà», come dice Il Dottore, interpretato da Gian Maria Volontè, in Indagini su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.
Ecco che quindi autorità, propaganda e repressione possono essere intesi come ingredienti per la costituzione di un potere emergenziale straordinario che, tuttavia, si fa ordinario: finita un’emergenza ne inizia un’altra, non c’è tempo per il dibattito, per lo scambio di opinioni, per una consultazione ampia dei bisogni delle persone. Veloce, in breve tempo, subito sono le parole d’ordine. In questo modo quindi, dare l’idea di avere in mano la situazione o di risolvere un problema nell’immediato (o fingere di farlo piuttosto) diventa necessariamente una maniera per creare un consenso ampio.
Ma veloce è anche la triste caduta del consenso, subitanea è anche la risposta della società civile, almeno fino a quando un’altra emergenza non spunta da dietro l’angolo.