Trieste è bella di notte
È vero che Trieste è bella di notte quando la si vede «dal confine, dall’alto, di notte», quando «le luci della città si riflettono nel mare e si illumina tutto». È bello il cielo di Trieste quando lo si guarda seduto sul Molo Audace con il vento che soffia forte.
È meno bella Trieste, però, quando la si guarda dal Silos. È meno bello il cielo quando lo si ammira dal secondo piano del Silos.
Il Silos è uno di quei luoghi in cui finisce il mondo.
Qui le persone migranti si fermano a dormire, spesso per mesi, in attesa che la macchina del sistema dell’accoglienza si muova. Qui ci si scalda come si può, si costruiscono abitazioni, ci si fa compagnia l’un l’altro per riuscire ad andare avanti.
Qui il sistema di accoglienza si inceppa e il Silos, e quindi Trieste, diventa la destinazione e non una tappa del viaggio che dovrebbe portare le persone, invece, in altri luoghi, magari vicino al resto della famiglia o dove vogliono andare a vivere dignitosamente.
E questo è perfettamente descritto in Trieste è bella di notte, unendo testimonianze dirette riprese dai registi Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore ai video “inediti” della rotta balcanica girati da chi la percorre.
Trieste è bella di notte intende (e riesce a) mostrare la quotidianità della rotta balcanica: una quotidianità fatta di camminate, di cucina, di canti, di speranze e di ricordi, ma anche, e soprattutto, di superamento di ostacoli. Ostacoli intesi come montagne, confini, frontiere e forze di polizia.
Il documentario si inserisce nell’intersezione tra rappresentazione e auto-narrazione dove la prima è rappresentata dal punto di vista scelto per raccontare la storia e dall’utilizzo delle interviste per spiegare il modo in cui le persone sono riuscite ad arrivare a Casa Malala; la seconda, invece, ha a che fare con l’agency, con lo sguardo intimo e intenso dei protagonisti, ha a che fare con l’autodeterminazione e la volontà di riappropriazione della propria vita, negata per lungo tempo durante il cammino.
Trieste, da sempre crocevia di popoli, continua a dimostrare la sua essenza di città ai confini del mondo: da una parte può incarnare ed essere vissuta come città alla fine del mondo, dall’altra, invece, è per molte persone il luogo dell’inizio del mondo. Da lì, da Trieste e dal Silos, ci si lascia la rotta balcanica alle spalle (in senso prettamente fisico) per entrare nel sistema di accoglienza o per andare in altri luoghi in cui iniziare finalmente una nuova vita.
Collocarsi nell’intersezione tra rappresentazione e auto-narrazione permette agli spettatori e alle spettatrici di entrare in contatto con una fetta di popolazione del mondo invisibile altrimenti inaccessibile. Qui sta la forza di un documentario come Trieste è bella di notte: mostrare e raccontare sì, inserendosi nelle dinamiche quotidiane delle persone coinvolte, ma anche passare il microfono e quindi mostrarsi e raccontarsi.
In conclusione, il cammino degli uomini e delle donne non termina mai, siamo ontologicamente in continuo movimento e anche quando incontriamo quei luoghi alla fine del mondo siamo portati a valicarli per autodeterminarci. Poi, però, ci sono le leggi e le polizie, ma questa è un’altra storia troppo lunga da affrontare qua e adesso, lo faremo sicuramente il 26 ottobre nel post-proiezione con Stefano Collizzolli e Paolo Pignocchi al Meet the Docs! Forlì Film Fest.