Niente di nuovo sul fronte del cinema

Niente di nuovo sul fronte del cinema

Gli eventi traumatici che si sono verificati negli ultimi anni, primo fra tutti la pandemia, stanno cambiando non solo il panorama esistenziale e immaginativo di miliardi di persone, ma anche il nostro rapporto con il futuro. Diventa sempre più difficile immaginare un futuro collettivo, che possa superare le singole aspettative private. Sembra essere sparita l’idea di una Storia collettiva, orientata, e il nostro vivere in questo tempo sembra disperdersi in una pluralità di storie (con la s minuscola), senza soluzione di continuità e con scarse connessioni alle vicende comuni. 

Non potendo più fare affidamento sulle speranze di un futuro migliore, il nostro presente sembra dilatarsi all’infinito, riproducendo un momento storico simile a quello descritto da Tocqueville nel 1840: «In mezzo a questo continuo fluttuare della sorte, il presente prende corpo, ingigantisce: copre il futuro che si annulla e gli uomini non vogliono pensare che al giorno dopo».

Anche il cinema non sembra in grado di offrire una risposta al bisogno di senso comune e stagna in questa rappresentazione del presente o, al massimo, si guarda indietro e cerca nel passato le coordinate per affrontare questo momento. 

Credo siano questi alcuni dei motivi che hanno spinto, negli ultimi anni, molti registi a riportare le due guerre mondiali sul grande schermo. Non mi sembra un caso, infatti, che in questo momento storico, ci sia stato tanto clamore intorno a un film come Niente di nuovo sul fronte occidentale

Quale evento migliore della prima guerra mondiale per cercare un precedente storico in cui l’immaginazione di un futuro era pressoché impossibile?

In questo bel film, diretto da Edward Berger, in cui non ci sono grossi elementi di originalità rispetto ad altri film che portano la guerra sul grande schermo, si ritrova la rappresentazione di un’epoca in cui, non solo era difficile proiettarsi in un futuro prossimo, ma in cui si ravvisavano già i prodromi di una catastrofe ancora più orribile. 

Anche questo film segue le vicende di un soldato, Paul Bäumer, e la sua storia personale diventa l’unico strumento per entrare in quel momento, in quella guerra, in trincea, senza però fare una panoramica più ampia che possa permettere di sentire la Storia collettiva. 

Mi sembra, quindi, calzante il parallelismo con il periodo che stiamo vivendo, in cui, sempre più chiusi nel nostro individualismo, vediamo già in moto le minacce al nostro futuro e aspettiamo il momento dell’esplosione (basta pensare al neofascismo dilagante in molti Stati del mondo, alle guerre in Medio Oriente e in Ucraina e al capitalismo imperante e cannibale). 

Il momento della prima guerra mondiale, esattamente come quello che stiamo vivendo noi, si pone come una ringhiera, che è permeata e permeabile dal passato e dal futuro ma che, allo stesso tempo, delimita e separa gli spazi. Per il cinema sembra ancora difficile cogliere questa complessità e proporci una visione di quello che c’è dall’altra parte. 

«Poco prima della fine della guerra nell’autunno del 1918, Paul è ucciso da una granata in un giorno in cui, come recita il bollettino di guerra, non c’è “niente di nuovo sul fronte occidentale”», sono queste le ultime frasi del romanzo di Erich Maria Remarque da cui è tratto il film. Proprio come Paul, che vive la sua ultima giornata e consuma la sua tragedia personale in un giorno in cui non sembra esserci niente di nuovo sul fronte occidentale, anche oggi niente sembra muoversi eppure tutto sta irrimediabilmente cambiando.

Nella nuova stagione che si sta aprendo sarà in grado l’arte di rispondere al bisogno di senso che stiamo continuamente e più o meno consapevolmente (ri)formulando?

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