Vatican Girl: una menzogna di Stato
Uscire di casa, chiudersi la porta alle spalle e non fare più ritorno. Potrebbe succedere a me, a una delle persone che amo; potrebbe succedere a ognuno di noi. È successo alla quindicenne Emanuela Orlandi ormai quasi quarant’anni fa, il 23 giugno del 1983, con delle dinamiche sulle quali a distanza di tutto questo tempo è ancora difficile fare chiarezza. Ci ha provato Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi, una miniserie in quattro puntate che ha cercato di disporre in ordine sul tavolo tutte le carte che compongono uno dei casi di cronaca più tristemente noti della storia italiana e vaticana, creando un filo conduttore tra i numerosi indizi e teorie che si sono susseguiti nel tempo. Tutti fatalmente accomunati da una buona dose di menzogna.
Vatican Girl è megafono di tante voci
Per riuscire a dare una visione della vicenda che fosse il più completa possibile, Vatican Girl ha lasciato nella sua narrazione ampio spazio alla voce di tutti coloro che hanno avuto – chi più direttamente, chi meno – un ruolo nel caso Orlandi. Avrebbe dato voce anche al Vaticano, se solo questa voce avesse avuto voglia di parlare. A raccontare cosa successe nel giugno dell’83 e come sono andati i successivi quarant’anni è prima di tutto Pietro, il fratello maggiore di Emanuela che più di chiunque altro è stato negli anni il volto e la voce della famiglia. Ma il suo racconto di quella sera, con il rammarico per non aver accompagnato Emanuela alla lezione di musica e per averla lasciata andare via indispettita come solo una sorella minore può essere, si fonde a quello del resto della sua famiglia. Le sorelle Natalina, Federica e Maria Cristina, l’ormai anziana madre Maria parlano di come, ognuno a modo suo, i membri della famiglia abbiano affrontato quello che a tutti gli effetti non è un lutto, ma un limbo forse anche peggiore dal quale si può uscire solo se è qualcun altro ad aprirne le porte.
Ed è anche questo qualcun altro a parlare. C’è l’avvocato che ha aiutato negli ultimi anni gli Orlandi a fare chiarezza nella vicenda e a ottenere nuove tracce, ci sono i giornalisti che all’epoca seguivano il caso e quelli che lo hanno trattato negli anni a venire, c’è chi materialmente ha indagato. Ma soprattutto ci sono persone che – forse – hanno avuto un ruolo concreto nella scomparsa di Emanuela. C’è Sabrina Minardi, all’epoca del rapimento amante del boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, che afferma non solo di essere stata in casa con la ragazza nei giorni subito successivi alla scomparsa, ma di aver consegnato lei stessa Emanuela a un sacerdote, di nuovo in Vaticano. Ma c’è anche Marco Accetti, autodenunciatosi nel 2013 come responsabile del caso Orlandi e del rapimento di Mirella Gregori avvenuto pochi mesi prima della scomparsa di Emanuela, facendo anche ritrovare un flauto in tutto e per tutto uguale a quello della ragazza. Una testimonianza, la sua, ad oggi percepita più come quella di un mitomane che come quella di qualcuno che abbia davvero avuto un ruolo nel caso. E qui si apre una domanda alla quale una vera e propria risposta non c’è, o almeno non ancora: in una vicenda in cui tante cose sono state dette e altrettante sono state nascoste, dov’è la verità?
Vatican Girl insegna che tacere è mentire
Negli ultimi quarant’anni le indagini sul caso di Emanuela Orlandi, prima e unica cittadina del Vaticano mai scomparsa, hanno portato ovunque e da nessuna parte. Dal coinvolgimento della Banda della Magliana al riciclaggio di denaro, da Ali Agca ai finanziamenti di Giovanni Paolo II a Solidarność, dal terrorismo internazionale ai preti pedofili: gli elementi e le persone che potrebbero aver avuto un ruolo nella vicenda sono talmente tanti e talmente variegati da rendere quasi impossibile oggi riuscire a capire se sia mai esistito e quale sia stato il vero posizionamento di ognuno. Se ne sono dette tante, troppe. E se è vero che può esserci una parte di verità e una di bugia in tutte le versioni che negli anni sono state date per spiegare il rapimento, è altrettanto vero che uno dei principali attori in gioco, quella monarchia mascherata da pura fede che è la Città del Vaticano, ha scelto di portare avanti una linea diversa, quella del silenzio. Una linea che non si differenzia in nulla da quella della menzogna.
Giovanni Paolo II prega per Emanuela Orlandi durante l’Angelus e, per la vigilia di Natale successiva alla scomparsa, si presenta a casa della sua famiglia per manifestare affetto e solidarietà. Ma concretamente, fin dagli anni Ottanta, la Città del Vaticano segue la linea applicata duemila anni prima da Ponzio Pilato, lavandosene le mani. Tecnicamente la scomparsa avvenne fuori dai confini vaticani, ma la cittadinanza di Emanuela rende difficile immaginare una realtà in cui il suo Stato non abbia fatto niente per riportarla a casa. Sempre nel caso in cui al Vaticano stesso fosse convenuto il ritorno di Emanuela, ovviamente. Poi arriva il Vatileaks, e con questo un fascicolo che testimonierebbe una serie di spese in capo al Vaticano “per sostenere l’allontanamento domiciliare della cittadina Emanuela Orlandi” fino al 1997, quando la ragazza ormai donna sarebbe presumibilmente morta e la sua salma fatta rientrare in Vaticano. E allora forse non è vero che lo Stato non si è interessato alla scomparsa, forse se ne è semplicemente fatto carico in modo diverso rispetto a quanto creduto in precedenza. Forse ne è stato il fautore. Se questi documenti fossero veri, il Vaticano non si sarebbe mosso per ritrovarla semplicemente perché sarebbe stato il Vaticano stesso a causare il suo allontanamento. Se. Continuano i tanti, troppi se.
E intanto Emanuela non ha mai fatto ritorno
Orologi che ticchettano, telefoni che squillano, sono diversi gli elementi usati in Vatican Girl per indicare un tempo che passa inesorabile. Ma di Emanuela non c’è traccia. Non c’è traccia di una ragazza uscita di casa a quindici anni per andare a lezione di musica durante un’afosa giornata d’inizio estate nella capitale, non c’è traccia di una sorella, di una figlia, di un’amica con un futuro davanti che qualcuno – non si sa ancora di preciso chi e per quale motivo – ha brutalmente cambiato, forse interrotto. Tante domande, risposte confuse. E forse l’unica verità in un caso così complesso è che nessuno tra coloro che hanno parlato l’ha mai detta per intero, la verità. La menzogna copre, giustifica, inventa, innalza mitomani, uccide le vittime, tiene lontana una persona dalla sua vita e una famiglia sempre in bilico tra la speranza e la disperazione. La menzogna apre una voragine tra uno Stato e una famiglia che quello stesso Stato dovrebbe tutelare, facendo vincere per quarant’anni la legge del più forte. Ma la battaglia degli Orlandi contro la bugia legittimata non si ferma: per la verità, per Emanuela.