Dhamer – the monster: la storia di Jeffrey Dahmer. Lo sguardo manipolatorio di un serial killer.
Dahmer – the monster. Questo è già un titolo che la dice lunga sulla scelta stilistica adottata da Ryan Murphy e sullo sguardo con il quale si osserva Jeffrey Dahmer, il serial killer che tra gli anni Settanta e Novanta uccide, violenta e massacra delle innocenti vittime per un edonistico piacere personale.
Dahmer è, appunto, il mostro.
Questa denominazione aiuta a delinearlo immediatamente, senza dare possibilità a un ribaltamento di visione da parte dello spettatore. D’altronde tutti abbiamo un’idea di “mostro” precisa nel nostro immaginario collettivo. É quel soggetto deforme, che spaventa e dal quale bisogna guardarsi. Jeffrey è proprio questo. É deforme nella sua mente, spaventa l’opinione pubblica e tutti ne prendono categoricamente le distanze.
Ma davvero lo facciamo? Direi di sì, ma solo in parte.
Si prendono le distanze in termini fisici e umani, perché nessuno tra noi farebbe ciò che ha fatto questo assassino, ovviamente. Ma siamo sempre noi che rimaniamo attaccati alla piattaforma istante dopo istante presi da un’inaspettata fame di sapere cosa accadrà mista a un orrore che ci pervade.
Merito del regista? Può darsi. Ma non solo.
Perché questa serie, così come il documentario Conversazioni con un killer: il caso Dahmer (Joe Berlinger, 2022) colpisce prima di tutto da un punto di vista psicologico.
Non sono tanto le scene cruente dei cadaveri a impressionare – ormai il pubblico è abituato a questo tipo di pornografia – ma la serie è pervasiva perché si rappresenta una violenza inimmaginabile, ma realmente accaduta. Ecco perché ci disturba, perché il reale sconfina oltre l’immaginazione e ci chiediamo come sia stato possibile.
Grazie al cambiamento di Billy, da questo mese si potrà donare ai lettori una più intima e profonda riflessione che va al di là della tradizionale recensione.
La mia operazione di analisi si concentra su Jeffrey Dahmer in quanto persona affetta da disturbi della personalità, così come si evince sia dalla serie che dal documentario. Si parla di schizofrenia e di un soggetto antisociale cresciuto in un contesto sfavorevole che ha dato il via libera ai suoi desideri sessuali.
Eppure non basta dire questo. Sarebbe semplicistico fermarsi alla superficie. Dunque, chi era Jeffrey Dahmer?
Lo sguardo che si adotta è quello di un carnefice solitario, ma che prima di tutto, e qui cercate di seguirmi, è stato abbandonato. Così fa la madre che lo abbandona durante la fase adolescenziale, un momento cruciale nella formazione di ognuno. Nel caso specifico di Dahmer, le sue insicurezze, e certamente i problemi, in quel periodo si amplificano e raggiungono un pieno dispiegamento delle più estreme potenzialità. Pulsioni sessuali in potenza che diventano morte in atto per la prima volta quando il ragazzo ha diciassette anni.
Perciò evitare di analizzare il contesto della sua crescita sarebbe un atto di deresponsabilizzazione di chi non ha voluto il bene del Dahmer bambino.
Non lo giustifico, attenzione. È stato un mostro, anzi uno dei migliori mostri possibili nel mondo del male. Semplicemente cerco di capire cosa lo ha reso tale, e se l’ambiente nel quale cresce ha contribuito.
Una volta compreso da dove proviene è giusto capire dove arriva. Ed ecco che subentra la parte più maligna e oscura di quell’uomo. Una zona d’ombra della sua personalità non ha permesso ad alcun sentimento, al di là del male, di svilupparsi.
Jeffrey Dahmer è un serial killer manipolatore che sa preventivamente chi uccidere.
Ecco perché nessuno lo giustifica.
Perché lui scrupolosamente ricerca la vittima ideale che generalmente è un giovane afroamericano omosessuale, che non solo è vittima di Dahmer, e lui lo sa, ma anche della società statunitense di quegli anni. Dahmer sa che potrà avere sempre la meglio, anche sulla giustizia. È evidenza di questo fatto la morte di un giovane quattordicenne asiatico che, dopo aver tentato la fuga, è ricondotto nell’appartamento del mostro dalla polizia stessa. L’uomo bianco americano ha dalla sua la società razzista e divisiva di quegli anni.
Ciò che colpisce e spaventa di quel mostro è che è tremendamente lucido nella sua disonestà con la quale attrae a sé gli uomini che poco dopo uccide, e lo fa in maniera totalmente organizzata. Ecco chi è Dahmer, un abile e mostruoso manipolatore.
Dahmer è un mostro perché scinde lucidità e follia in maniera strabiliante, è umano con chi sa di dover esserlo e diventa mostro con i più deboli. Si spoglia di quel volto anonimo come tanti e indossa la maschera dell’omicida perverso e affamato. La malattia pervade l’umanità dell’uomo e diventa il suo modo di vivere. Dahmer è ciò che la mente gli racconta di sé.
Seguendo Dahmer si va in un mondo straordinario, nel senso di extra ordinario, dove accadono cose che sono, almeno per la maggioranza della popolazione e per fortuna, intrise di follia pura. Viene meno ogni ragionevole azione che un uomo può compiere e a noi non rimane che osservare tutto.
Un tentativo di riconnessione con la realtà si paventa quando Dahmer cerca la remissione dei peccati attraverso il battesimo, come se la fede potesse riportarlo sui giusti binari. Ma non serve, perché tutto il male creato gli torna indietro per mano di un altro squilibrato omicida.
Dunque, Dahmer è un carnefice, ma è anche vittima esso stesso della sua natura disfunzionale.
Il circolo vizioso del male da lui creato è pericoloso e ferisce un’intera società, la quale è figlia di una cultura razzista fin dalle proprie origini.