Crimes of the Future: Riflessioni sull’artista
Dopo otto anni di assenza David Cronenberg torna al cinema con Crimes of the Future, riprendendo il titolo del suo secondo film (1970) di cui però questo non è né un remake né un sequel.
Nella versione del 1970 si narrava di un mondo in cui tutte le donne in età post puberale erano decedute per via di un’epidemia causata dal tentativo fallimentare di trovare una cura a malattie dermatologiche dovute all’utilizzo eccessivo dei cosmetici. Protagonista era il dottor Tripod che nel corso del film si imbatteva in vari uomini che cercavano di adattarsi a un mondo senza donne, tra questi uno riusciva a rigenerare organi asportati dal suo corpo. Così si può dire che il seme del nuovo Crimes of the Future fosse già lì.
Protagonista infatti è Saul Tenser (Viggo Mortensen), un artista il cui corpo produce spontaneamente nuovi organi/tumori che vengono rimossi dalla partner (ed ex chirurga) Caprice (Léa Seydoux) attraverso una macchina tecnologicamente all’avanguardia. L’operazione di rimozione dell’organo e la sua successiva esposizione costituisce la vera e propria performance artistica a cui assistono tante persone che sono affascinate e soprattutto eccitate sessualmente dall’evento, in quanto, come dice Timlin (Kristen Stewart) «la chirurgia è il nuovo sesso».
Ambientata in un futuro prossimo in una Grecia quasi sempre notturna che presenta edifici decadenti e in rovina e abitata da una nuova umanità incapace di provare dolore, l’opera di Cronenberg riflette sulla figura dell’artista, un artista che in questo caso dona letteralmente “parti di sé” per guadagnare, per creare valore, come accaduto allo stesso regista che, dopo il rifiuto di piattaforme come Netflix e Amazon, nel tentativo di trovare soldi per la realizzazione di questo film ha girato un cortometraggio con la figlia Caitlin (The Death of David Cronenberg) per metterlo all’asta per poi in seguito realizzare Inner Beauty: una collezione di 18 fotografie dei suoi calcoli renali venduta con base d’asta di 30 mila dollari.
Crimes of the Future è un film su cosa significhi essere un artista e fino a dove quest’ultimo può spingersi, ma anche su come può rapportarsi con il pubblico specie se quest’ultimo è formato da un’umanità privata del senso del dolore e in cui vi è un gruppo che, grazie a un’operazione chirurgica, è in grado di digerire la plastica per adeguarsi meglio al mondo e all’ambiente in cui vive.
Ecco che allora il futuro messo in scena da Cronenberg è di fatto un’allegoria del presente in cui si racconta la fine di un’umanità, ma anche la fine di un certo modo di fare cinema e arte per lasciare spazio a un nuovo mondo in cui l’artista deve scegliere se resistere o adeguarsi, se essere conservatore o andare avanti, e il finale, dove molte situazioni sono lasciate aperte, sembra darci una risposta ambigua attraverso uno sguardo sospeso tra il piacere e la morte.
Il film è denso di riferimenti all’opera omnia del regista a partire dalla messa in scena della citazione di Inseparabili (1988) per cui «dovrebbero fare dei concorsi di bellezza anche per l’interno dei corpi» e segna il ritorno al body horror che ha caratterizzato il suo stile, ma che negli ultimi vent’anni aveva lasciato in disparte per concentrarsi sulle mutazioni dell’animo umano (Spider, A History of Violence, La promessa dell’assassino) e della società (Cosmopolis, Maps to the Stars). Così facendo gli stilemi vengono riattualizzati e riadattati, dimostrando di essere sempre efficaci, per descrivere, attraverso una regia secca e priva di barocchismi, un mondo che vede un’umanità sempre più desensibilizzata, asettica, che privata del dolore può spingersi a situazioni estreme, e dove l’artista può scegliere, con un atto politico, se essere uno strumento dei suoi crimini o il suo contraltare: mangiare o non mangiare la plastica?