The Smile: una luce per attirare l’attenzione

The Smile: una luce per attirare l’attenzione

Tra una settimana i The Smile inizieranno quello che è, a tutti gli effetti, un mini-tour italiano (5 date da nord a sud). E sembra quasi che le location scelte vogliano assecondare le atmosfere cinematiche di A Light for Attracting Attention (XL, 2022), prodotto da Nigel Godrich.

Fin dal titolo – una luce per attirare l’attenzione – l’ironia derivata dalla notorietà dei membri del gruppo, esuli volontari dalla fama planetaria dei Radiohead, è evidente. Questa ironia, che si ritrova anche nel nome della band – Yorke e Greenwood, con Tom Skinner dei Sons of Kemet, sono autori notoriamente lontani da sorrisi e risate – viene fagocitata e annullata da una musica che nelle sue cadenze, nei suoi ritmi, nella sua calma fusion, nelle spirali che crea, sarebbe perfetta per un film notturno di Mike Leigh. Un album chiaramente ossessivo, a tratti nervoso – si veda il caos controllato in You Will Never Work In Television Again – debitore del post-modernismo musicale che ha permesso ai Radiohead di diventare uno dei pochi gruppi viventi considerati, già ora, mitologia. 

Quello che colpisce, oltre al bellissimo crescendo albeggiante, in The Same, è il tema politico. L’augurio di Yorke è quello di accettare la decadenza della realtà, la mediocrità di questo secolo, e farsi abbagliare dalla luce, accoglierla nelle mani in una prospettiva smaccatamente new age.

E sebbene l’incipit freak di una luce benevola delinei un iniziale millenario messaggio messianico, le Velvet Undergroundiane The Opposite e You Will Never Work In Television Again, come anche The Smoke, molto vicina ai suoni world e psichedelici dei Khruangbin, e la nevrotica Thin Thing, riportano a un nichilismo evidente, che trasforma in negativo il proverbio gli opposti si attraggono; perché è vero l’attrazione esiste, ma solo nelle ceneri, nella polvere e in tasche piene di nulla. L’amore richiama la fine, la soluzione diventa l’uman catena leopardiana, uscire dai problemi nella nostra carezza

Free In The Knowledge, Open The Floodgates e Pana-Vision sono perle. Accordi crescenti complici di una continua sospensione, arrangiamento orchestrale cinematico, testi – liberi nella consapevolezza che un giorno questo finirà, che tutto cambierà e che è stato solo un brutto momento – che richiamano interpretazioni affettive, amorose, sociali. Un valore universale che, mischiato alla musica e alla performance vocale, lascia un piacevolissimo, e sempre paradossale, sentore di malinconie.

Speech Bubble sembra essere una storia di dipendenza e devastazione in un contesto post-apocalittico. È venuta prima l’apocalisse della decadenza e della solitudine e poi l’agio, o il contrario? 

Skrting On The Surface è il primo momento in cui l’orecchio e la testa riconoscono, in un ragionamento reo di banalità, i suoni dei Radiohead. Sarà il tocco vocale adagiato su un tappeto di percussioni leggere – come anche, a suo modo, in Hairdryer, dove Skinner è al suo massimo – ma il pezzo sembra uscito dal periodo di In Rainbows. Che non è in assoluto un peccato. Con una ulteriore menzione speciale per il sassofono nella parte finale.

Waving The White Flag e We Don’t Know What Tomorrow Brings partono da un giro di sintetizzatori per terminare l’album con messaggi tutt’altro che speranzosi, in antitesi all’inizio sì disperato, ma velato di timido ottimismo. Nel finale, invece, Yorke ripete il mantra del secolo: non sappiamo cosa porterà il domani, non sappiamo cosa porterà il domani, non lo sappiamo.

Orbita è la parola che dovrebbe aiutare a tradurre i significati dell’album. Ascoltato senza pretese l’album vortica nei suoni, nei temi, nella poesia diretta e in apparenza semplice, che traspare dalla performance vocale di Yorke, elemento apicale dell’intero lavoro.

A Light for Attracting Attention accompagnerebbe perfettamente la passeggiata allucinata e monocromatica – in grigio – di John (un meraviglioso David Thewlis) in Naked, capolavoro di Mike Leigh del 1993. I temi sono gli stessi: un’apocalisse – sociale e personale – che pende sulla testa delle persone, il bagliore fioco della speranza annullata da pensieri desolati, il nervosismo silenzioso e tirato della nostra contemporaneità, la consapevolezza cerebrale di perdersi e perdere sempre qualcosa nel bel mezzo del viaggio e non ritrovarlo più. Un album che non si esaurisce nella sua registrazione, ma guarda a un’interpretazione dal vivo che si prospetta continua, emozionante. Un itinerario sonoro che sarà un piacere ascoltare live.

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