Peaky Blinders – Una stagione di cui non avevamo bisogno
Nelle atmosfere incupite dall’ombra sempre più densa del fascismo, torna la sesta stagione di Peaky Blinders che riparte con la famiglia Shelby alla deriva completa. Dopo quattro anni dalla perdita di zia Polly, Thomas è sul punto di suicidarsi, Ada – che non ne vuole più sapere dei loschi affari di famiglia – si ritrova ad assumere il ruolo lasciato vacante dalla zia, e Arthur continua a essere preda delle dipendenze e a minare la reputazione già barcollante degli Shelby.
In realtà, dispiace dirlo, è la serie stessa a sembrare alla deriva: dopo cinque stagioni stratosferiche, è arrivato il momento che tuttǝ ci aspettavamo, ma nessunǝ voleva veder arrivare. Con la Seconda Guerra Mondiale alle porte e gli intrecci di potere in cui Thomas Shelby era finalmente riuscito a ficcarsi, le aspettative erano veramente altissime, si aspettavamo tuttǝ un punto di svolta. E invece la sesta stagione sembra essere sempre sul punto di senza però mai andare fino in fondo. Per quanto continui a essere storicamente molto accurata, la serie prosegue negli anni restando ferma su sé stessa.
Dai bassifondi di Birmingham al Parlamento di Londra, con l’elezione di Thomas tra le fila laburiste, la dimensione politica (nel senso più istituzionale del termine) stava assumendo un ruolo sempre più rilevante. Ma l’ascesa della classe operaia viene lasciata sullo sfondo per dare, invece, (troppo) spazio, ancora una volta, alla psiche instabile di Tommy, ai suoi rapporti disfunzionali e ai suoi demoni (metaforici e letterali). Per quanto mi piaccia pensare che le vicende interiori del protagonista siano un modo per rappresentare le conseguenze di certe dinamiche di potere e di certi traumi che la Storia lascia addosso a chi la vive, credo che, in realtà, il creatore e showrunner Steven Knight abbia semplicemente deciso di scrivere una stagione che congiunga ciò che siamo stati abituati a vedere e quello che (sì, ancora) ci aspetta.
Dal primo dopoguerra, alla Grande Depressione, passando per l’ascesa del nazismo, questa sesta stagione si ferma dove tutto avrebbe dovuto cominciare. Si tratta, in sostanza, di un ponte temporale che prepara il terreno alla visione del prossimo film spin-off che sarà ambientato tra gli anni ’40 e ’50. Un’intera stagione, quindi, per entrare ancora più a fondo nella mente di Thomas Shelby, sperando che i (continui e reiterati) riferimenti alle sue origini gitane, le sue azioni calcolate e le sue scelte istintive, il suo passato traumatico e le perdite umane non siano solamente un modo per arricchire in modo barocco il personaggio, ma che servano a spiegarne le gesta future. In ogni caso non era quello che ci si poteva aspettare da una stagione conclusiva. E quindi dimenticate gli incredibili colpi di scena delle stagioni precedenti, stavolta continuiamo a tornare nelle trincee francesi e continuiamo a sentire la voce di Polly ripetere la stessa frase almeno due volte a puntata. Gli eventi importanti sono marcati in modo banale e patetico e indimenticabili sono, invece, i movimenti di camera. Indimenticabili perché imbarazzanti, di quelli che ti fanno dire “ma perché?”.
Mi sta che stavolta è stato proprio Steven Knight a fuck with the Peaky Blinders, e allora aspetteremo il film senza ansia.