Stranger 80’s
Kaukokaipuu è un termine finlandese che descrive la sensazione di nostalgia di un posto in cui non si è mai stati. La sensazione equivalente che si prova rispetto ad un’epoca che non si è mai vissuta è definita da Woody Allen in Midnight in Paris “sindrome dell’epoca d’oro”. Si tratta più che altro del rifugiarsi nell’illusione che è esistito un periodo storico in cui saremmo stati meglio.
È una sensazione comune non solo a tutte le epoche storiche, ma anche alle diverse età della vita degli umani. È il laudator temporis di Orazio – la sensazione che le persone di una certa età provano ripensando alla propria giovinezza – ma è anche qualcosa che trascende il tempo della propria vita, andando indietro ad epoche lontane.
È con questa sensazione che si spiega il sentimento di nostalgia verso gli anni ‘80 che una serie evento come Stranger Things genera anche – e soprattutto – in chi gli anni ‘80 non li ha mai vissuti. Con le parole dei suoi creatori – non a caso due Millennials che erano troppo piccoli negli anni ‘80 per averli davvero “vissuti” – Stranger Things è una lettera d’amore agli anni ‘80.
In tutte le stagioni della serie vediamo continuamente riferimenti e omaggi a film come Ritorno al Futuro (1985), Terminator (1984), Alien (1979), i Goonies (1985), le opere di Stephen King – chi meglio di lui per celebrare gli anni ‘80? – e dozzine di altri easter eggs.
È chiaro, quindi, che la nostalgia verso gli anni ‘80 affonda le sue radici, non tanto nella realtà del tempo, quanto nella devozione per tutto quell’immaginario che ha continuato ad avere un’eco da lì in avanti.
Infatti, in tutta la serie non vengono davvero sviscerate le problematiche e contraddizioni degli anni ‘80, ma più che altro ne viene celebrato il famoso “spirito”. A parte la grande paranoia nei confronti dell’Unione Sovietica, non vengono trasmesse molte altre chiavi di lettura della quotidianità di quel tempo.
Quello che invece viviamo, insieme allə protgonistə, è il cambiamento repentino delle cose e il veloce senso di adattamento che è stato richiesto a tutte le generazioni da quel momento in poi, con l’avanzata del capitalismo e lo scoppio della rivoluzione digitale. Assistiamo, infatti, attraverso le stagioni, non solo all’avvento del videogioco arcade, ma anche a quello del centro commerciale, simbolo di un cambiamento radicale nel modo di percepire la propria identità e il proprio modo di stare al mondo.
Credo che questo spirito di adattamento sia ciò che, a un livello più profondo, porti i Millennials a empatizzare con lə protagonistə della serie. Anche loro, in effetti, hanno dovuto adattarsi a cambiamenti di enorme portata nell’arco di pochi anni, senza aver nessun precedente al quale appigliarsi.
Ci siamo chiesti cosa piaccia di Stranger Things alle generazioni successive alla generazione X, quelle che gli anni ‘80 non li hanno mai visti, e la risposta non è affatto semplice. Da Millennials, ho provato a chiedermi cosa piace a me di questa serie e perché guardandola mi sento anch’io affetta dalla sindrome dell’età dell’oro (pur non avendo mai pensato razionalmente agli anni ‘80 come epoca d’oro) e non mi è stato facile trovare una risposta autentica.
Ho provato a eliminare gli elementi intimamente connessi alla mia storia personale – che mi portano inconsciamente ad empatizzare con bambini bullizzati perché strani come lo sono stata io, ma soprattutto con Dustin che corregge le citazioni sbagliate del Signore degli Anelli anche mentre un demogorgone sta per uccidere tutti – e a trovare una risposta che potesse essere un po’ più universale.
Spoiler: non ci sono riuscita, quindi darò comunque una risposta valida per me, ipotizzando che lo sia anche per i Millennials, la Gen Z e i Mindflayer.
Alla fine, sono arrivata alla conclusione che il senso di nostalgia che le nuove generazioni provano rispetto a questa serie possa essere legato a un momento storico immune dall’iperconnessione e dalla pressione a essa collegata. Ci immaginiamo o ricordiamo un mondo in cui bisognava andare in biblioteca per fare una ricerca, non si era continuamente bombardatə da informazioni, non si doveva stare al passo alla velocità incredibile del nostro tempo e non si era costantemente reperibili. Idealizziamo il walkie talkie, le vhs, i mangianastri e i walkman immaginando quanto sarebbe entusiasmante sostituirli ai nostri smartphone.
L’altro giorno mio padre si è ricordato che, quando lui era ragazzo, se volevi sapere l’ora esatta dovevi chiamare un numero e ascoltare una voce registrata che ti diceva ora, minuti e secondi. Io ho subito pensato che sarebbe fantastico vivere senza sapere costantemente che ore sono.
Forse è questo che ci emoziona di Stranger Things, forse è una vera nostalgia degli anni ‘80 o forse è solo l’idea di potersi rifugiare in un mondo immaginario, combattere mostri che almeno sono facilmente identificabili e inventarsi che saremmo stati felici in un altro contesto, in un’altra versione del mondo, in un’altra versione di noi stessi.