Euphoria
Le dipendenze (dalle relazioni)
Ogni volta che qualcunǝ decide di rappresentare su schermo quel periodo di merda della vita che è l’adolescenza, rischia di farlo banalizzandolo e stereotipandolo, esattamente come ho appena fatto io definendolo «periodo di merda».
Invece, Sam Levinson racconta l’adolescenza mettendo da parte quell’approccio moralistico e giudicante che dipinge lǝ adolescenti come un semplice ammasso di ormoni e confusione.
Euphoria racconta i traumi che, durante l’adolescenza, iniziano a manifestare i propri effetti. Racconta i traumi che, durante l’adolescenza, si vivono e si sentono in modo forte, con più consapevolezza, quella che, come un pugno in faccia, ti fa capire che sei appena uscito da quella fase della vita in cui non avevi ancora imparato a conoscere le tue emozioni.
Euphoria tocca tutti gli aspetti dell’adolescenza, senza essere superficiale. Parla di identità di genere, di sessualità, di tossicodipendenza, di violenza fisica e psicologica, di famiglia e amici, parla di depressione e ansia, di distacco e morte. Ma ciò che accomuna davvero lǝ protagonistǝ del teen drama è la dipendenza, la dipendenza dalle relazioni – sane o tossiche che siano. Che poi si usi l’aggettivo “tossico” per le relazioni umane non mi sembra affatto un caso.
La creatura di Levinson, arrivata alla seconda stagione dopo l’interruzione e i cambiamenti dovuti alla pandemia, è un insieme di voci che urlano per essere ascoltate.
La narrazione è condotta e filtrata dallo sguardo distorto di Rue (ogni aggettivo per Zendaya risulterebbe riduttivo) che ci guida, sbandando, attraverso le storie dei personaggi, sviscerati e psicanalizzati nei loro aspetti più intimi. E allora assistiamo ad altalenanti discese negli inferi di tutti (o quasi) i personaggi, a ricordarci che l’adolescenza è (o può essere) davvero un «periodo di merda» in cui riveliamo, a noi stessǝ e allǝ altrǝ, quanto la dipendenza dalle relazioni interpersonali possa essere deleteria o salvifica.
I dialoghi perfetti (mai una parola di troppo, mai la sensazione di una parola che manca) riflettono il complesso e traumatico dramma esistenziale che vivono lǝ protagonistǝ, il tutto incastonato in immagini lomografiche allucinanti e allucinate, in costumi curati al bottone e in un trucco curato fino all’ultima lacrima di glitter. Le scelte di regia e l’estetica della serie sono incontenibili, ma le parole e le sensazioni restano al centro di ogni episodio, anche di quelli meno parlati, grazie a una scrittura che rende dense le attese, fluidi i passaggi cruciali e carichi i momenti di agitazione.
A integrare ciò che non viene raccontato e amplificare il non detto, le musiche che non si limitano a fare da semplice accompagnamento, ma aggiungono sempre un ulteriore livello narrativo. Mentre guardi Euphoria vivi gli stessi ups and downs dei personaggi e li senti penetranti come un ago. Il dolore dei personaggi è il dolore della dipendenza e la loro dipendenza sono le relazioni umane in quel periodo di merda della vita che è l’adolescenza.
«Move back and forth into the change. What is it like, such intensity of pain?»
Rainer Maria Rilke