Belfast – frammenti di un passato frammentato
Probabilmente sarebbe stato indelicato (e ingiusto) scrivere di Belfast, l’ultimo film di Kenneth Branagh, non appena uscito dalla sala: sarebbero state righe in cui la rabbia avrebbe avuto il sopravvento, per poi lasciare il posto alla delusione. Lasciarlo depositare è stato un modo per elaborarlo e accettarlo (come si farebbe con un lutto o una perdita) e averne un giudizio più equilibrato e onesto, senza ridefinirne la portata, ma avendo cura di collocarlo nei giusti spazi perché Belfast ha tutti gli elementi per essere un film che funziona, ma non lo fa, perché è “quello che poteva essere e non è stato”.
“Rileggere” una storia, soprattutto se la propria, può essere un esercizio di incastri, di rimossi e di reminiscenze, di frammenti provenienti da un luogo distante a cui trovare un posto, ma se quel luogo è ormai lontano sia fisicamente che idealmente, trovare un posto giusto per ogni frammento può diventare un vano proposito privo di efficacia e Belfast non riesce mai ad essere più di una frammentata ricostruzione della perdita dell’innocenza del piccolo Buddy (del protagonista, certo, ma anche di una città e di un paese intero), di un passaggio storico e personale (quasi intimo) all’età adulta in cui tutto intorno a lui cambia ed è costretto a cambiare, nonostante le piccole cose che lo legavano alla sua infanzia siano ancora immutate. Ciò che delude è che, nonostante le premesse, la drammaturgia della narrazione venga affossata dalla teatralità dell’immagine e dal suo bianco e nero patinato (più adatto ad una pubblicità di profumi che a un viaggio nei ricordi), dalle strade della città che brulicano di finzione scenografica e soprattutto da una scelta, sia narrativa che di messa in scena, in cui l’occhio di Branagh (adulto) sovrasta la visione del mondo di Buddy relegandola (con alcune eccezioni, come la scena di apertura) al ruolo di un piccolo frammento a cui non si trova un incastro, invece che elevarla a collante e filtro di ogni ricordo e di ogni rapporto.
Il piccolo universo di Buddy, circoscritto dai limiti della strada in cui è sempre vissuto, diventa il palcoscenico di eventi a cui cerca di sottrarsi per continuare a vivere nel mondo incantato della sua infanzia, in cui però la Storia accade anche se non si vorrebbe e costringe ogni personaggio a spostare dei limiti, ma in cui ognuno recita un assolo stonato sulla partitura di quella che poteva essere una sinfonia.