America Latina
Attenzione, premessa: come al solito, i film dei fratelli D’Innocenzo danno ai cinefili la loro versione di Forum e permettono loro di scatenarsi nell’arena dell’accusa e della difesa popolare (di cui sostanzialmente non frega niente a nessuno, ma è giusto ammetterne almeno l’esistenza).
Anche per America Latina, come era stato per Favolacce, si leggono recensioni che lo reputano “capolavoro” o “inutile”. Insomma, la regia dei fratelli D’Innocenzo (e sottolineo la regia) non consente di rimanere neutrali o indifferenti, o la si ama o la si odia, senza mezzi termini.
Chiarisco, quindi, fin da subito, che io la amo.
(Fine premessa.)
Un’altra cosa che amo, ma su questa non c’è nessun dibattito e sembriamo essere tutte e tutti d’accordo, è la recitazione di Elio Germano, che si conferma uno dei migliori attori che il nostro cinema abbia mai sfornato. In questo film da vita a un personaggio complicatissimo, Massimo Sisti, un dentista affermato dalla vita apparentemente perfetta, con una bella casa, una moglie e delle figlie incantevoli. In questo ruolo Elio Germano è completamente pelato, perché è il suo cranio a essere il vero protagonista. America Latina è, infatti, la storia di un viaggio dentro una testa, della lenta discesa nei suoi abissi.
È un film che gioca sulle apparenze, sulla costruzione di personaggi che si rivelano essere completamente diversi da quello che sembrano. È una storia che parla di conflitti sociali e di mascolinità tossica e lo fa con i toni scuri del thriller, che si avvicina a tratti all’horror espressionista muto. È costantemente presente l’alternarsi tra la superficie e la profondità, quello che c’è sopra e quello che c’è sotto, una villa piena di luce e una cantina buia. Finché il buio esce dalla cantina dov’era nascosto e comincia a invadere anche quello che c’è sopra e anche quello che prima era illuminato e limpido diventa oscuro e marcio.
America Latina è un film disturbante, che ti fa agitare sulla sedia e ti fa venire voglia di distogliere lo sguardo ma, allo stesso tempo, ti tiene incollatə allo schermo. È un film che costa vulnerabilità.
La telecamera accompagna il nostro sguardo in questo dedalo di primissimi piani e inquadrature che confondono, la musica guida la nostra ansia fino a farla esplodere e la fotografia ci offre, con la stessa nitidezza, un’oscurità plumbea e una luce angelica.
In effetti, in fin dei conti, come hanno detto i suoi stessi registi: «America Latina è un film sulla luce e abbiamo scelto il punto di vista privilegiato dell’oscurità per osservarla».