Madres paralelas: dentro una madre
Quando è che una donna diventa madre? Madre è colei che genera, colei che dà la vita? È colei che cresce e ama i suoi figli? Colei che fa alcune di queste cose o le riunisce tutte? Essere madre è tutt’altro che un concetto univoco: è complesso, sfaccettato. E le diverse facce della maternità sono tutte a loro modo presenti in Madres Paralelas, l’ultimo film di Pedro Almodóvar, presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia e nelle sale italiane dal 28 ottobre. Madres Paralelas è un tuffo nei meandri della maternità, una tematica per nulla nuova al regista, declinata in un confronto fra passato e presente ma con uno sguardo sempre rivolto al futuro.
Al centro della narrazione ci sono le storie di Janis e Ana, due donne agli antipodi che si ritrovano a condividere l’esperienza della maternità. Janis ha quasi quarant’anni ed è una fotografa realizzata, una donna politicamente attiva e convintamente femminista, pronta a mettersi in prima linea per portare avanti le battaglie in cui crede. Ana invece è un’adolescente ancora non pienamente consapevole di chi è e di cosa vuole, una giovane donna che si ritrova catapultata in una situazione molto più grande di lei.
Le protagoniste si incontrano nel reparto maternità di un ospedale di Madrid e danno alla luce le loro bambine praticamente in contemporanea. Questa esperienza condivisa unisce due mondi altrimenti paralleli, destinati a non incontrarsi mai, e la condivisione va ben oltre il momento della nascita. Entrambe sono – per motivi diversi – madri single, ugualmente consapevoli ma non altrettanto ugualmente pronte a crescere le figlie da sole. Il rapporto che si crea tra Ana e Janis oltrepassa le mura della loro stanza d’ospedale, va oltre nello spazio e nel tempo, ma è anche destinato a essere fortemente turbato.
A più di vent’anni da Todo sobre mi madre, Almodóvar torna a portare sullo schermo la complessità dell’essere madre. Lo fa di nuovo con una più matura Penélope Cruz, che veste questa volta panni diametralmente opposti rispetto a quelli del suo personaggio nel cult del 1999.
Madres Paralelas non è solo la storia di Janis e Ana che diventano madri. È la storia delle donne che amano i propri figli ma anche di quelle che sono madri pur non avendone, o di coloro che invece hanno figli ma non se ne sentono davvero madri. In un mondo in cui ci si aspetta ancora che le donne nascano e vivano nell’attesa di diventare madri, Almodóvar ci ricorda che questo ruolo è tutt’altro che scontato. Ci mostra cosa significhi amare un’altra persona più della propria stessa vita, non volersene separare. Ma ci mostra anche la sofferenza di chi i figli non riesce a sentirli davvero parte di sé. Lo fa con il suo stile inconfondibile, con intrecci complessi che altro non sono se non la complessità di ciò che davvero caratterizza le nostre esistenze nel profondo.
E mentre le protagoniste imparano a vedere se stesse come madri, fanno anche i conti con la carenza di figure paterne. La presenza/assenza dei padri è un punto importante della narrazione. Janis è figlia di un padre che non conosce, Ana di un padre assente; entrambe sono madri di bambine senza padre. La loro mancanza si fa sentire, pesa, perché non è solo ciò che abbiamo attorno ad essere determinante per la nostra crescita: è anche ciò che non abbiamo a renderci chi siamo. E bisognerà aspettare il finale non solo per vedere una paternità concreta, ma anche per scoprire e conoscerne una in senso più ampio, che trascende la specificità delle vicende narrate.
Raccontare la storia delle sue protagoniste, in particolare quella di Janis, è per Almodóvar un pretesto per narrare anche di sé e dei suoi connazionali. Janis si impegna per scoprire la storia, e ritrovare i resti, del suo bisnonno, uno dei tanti desaparecidos portati via dalle proprie case per motivi politici durante la guerra civile spagnola e mai più tornati indietro. Janis e la sua comunità cercano di fare ritorno alle proprie radici, ai padri dei loro padri, un modo per fare pace con la propria storia. Un modo per conoscersi meglio, e forse anche per volersi più bene.
Con la sua ultima opera Almodóvar trova il modo per rendere la vicenda personale delle protagoniste una vicenda collettiva, e forse è proprio questa la sua forza. Per scoprire se stessi, per capirsi, per accettarsi nel profondo è necessario capire da dove veniamo, e prima o poi ci troviamo tutti a fare i conti con le nostre origini. È la nostra storia che ci rende chi siamo, sono le nostre mancanze, anche i nostri momenti di buio. E prima o poi tutto esce prepotentemente fuori, urlando. Lo diceva Eduardo Galeano e lo dice anche Pedro Almodóvar in conclusione del suo racconto: «no hay historia muda. Por mucho que la quemen, por mucho que la rompan, por mucho que la mientan, la historia humana se niega a callarse la boca».