Indocili IV – Taxibol e Majonezë
BILLY torna a Milano per il quarto appuntamento di INDOCILI, la rassegna organizzata dall’associazione TAFANO e interamente dedicata alle giovani registe e ai registi italiani. Come da tradizione, l’evento di martedì 25 marzo, in collaborazione con MUBI Italia, si svolgerà tra il Bar Rondò (ore 20) e il Cinema Beltrade (ore 22), e porta sul grande schermo di via Nino Oxilia due cortometraggi su storie oltre confine.
I titoli di questo appuntamento sono Taxibol del regista Tommaso Santambrogio e Majonezë della regista Giulia Grandinetti, cortometraggio fresco di nomina ai David di Donatello. Due opere che guardano a Paesi distanti—Cuba e Filippine nel primo caso, Albania nel secondo—ma con molti punti di contatto, tra cui la scelta del bianco e nero e una riflessione profonda sui confini, sia geografici che interiori, e sull’oppressione, che trova diverse articolazioni nel tempo e nello spazio.
Taxibol è un mediometraggio—formato coraggioso, a volte trascurato da festival e produzioni—che costruisce un ponte immaginario tra Cuba e Filippine a partire dall’abitacolo di un taxi.
“Dove va l’umanità? Boh!” cita il cartello di apertura di Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini. La stessa domanda se la pone anche Lav Diaz nei primi 15 minuti del film, che scorrono a bordi di un’auto in giro senza meta per le strade della città. A guidarla è il tassista Gustavo, con al suo fianco il regista filippino Lav Diaz in veste di passeggero-attore. I due non fanno altro che chiacchierare—Lav Diaz in inglese e Gustavo in spagnolo—eppure si capiscono, empatizzano, parlano di relazioni, di culture che si incontrano nonostante i confini, di oppressioni subite e di ingiustizie da vendicare, di amori che finiscono e di altri che non si sfumano mai, come quello per il cinema, celebrato dal regista come avanguardia nella sua funzione di critica dell’esistente.
Quindici minuti verbosi ma profondamente intimi, che scivolano in un lento peregrinare senza meta, allegoria di un’umanità allo sbando. Non siamo ancora arrivati a destinazione quando Lav Diaz confessa a Gustavo il vero obiettivo del suo viaggio a Cuba: girare un documentario su Juan Mijares Cruz, generale a servizio del dittatore Marcos, responsabile di torture e omicidi nelle Filippine. Il cinema del reale che vendica un popolo e una cultura, che recupera la storia per ospitare il racconto degli oppressi. Da questo momento in poi, Taxibol scivola nella fiction, ma adotta un linguaggio documentaristico. Santambrogio dà seguito al discorso sull’ingiustizia e sull’oppressione iniziato nel taxi e ci porta nella quotidianità del generale Cruzun uomo anziano e claudicante, rinchiuso nella sua casa padronale dov’è accudito da mattina a sera, immerso in giornate identiche e ripetitive. Qui non c’è spazio per i dialoghi, l’attenzione converge sui suoni in sottofondo e sulla meccanicità dei gesti di Cruz, lenti e affaticati, che si ripetono identici, come in un loop che odora di condanna e suscita pietà.

Nonostante la prova attoriale dei personaggi faccia virare Taxibol verso la fiction, il reale irrompe grazie all’approccio osservativo e ai materiali d’archivio, che ancorano il film ai fatti e fungono da collante tra due generi diversi. Ed è qui che Taxibol riflette sul cinema stesso, sulle sue possibilità espressive e sulla ricerca di un equilibrio tra realtà e finzione.
Seppur in forma diversa, l’oppressione è uno dei temi che attraversa anche Majonezë di Giulia Grandinetti, una storia di ribellione adolescenziale all’autorità maschile, di conflitti interiori ed esteriori, ambientata nei Balcani.

La sedicenne Elvyra (Caterina Bagnulo) fa la pastora a Ersekë, nella campagna albanese. Come spesso accade a quell’età, è travolta dalla passione e dall’amore per Goran, giovane serbo, ma deve anche fare i conti con la figura paterna, che le impone un matrimonio non voluto. Il cortometraggio—anche qui in un bianco e nero che cristallizza volti e paesaggi—racconta non solo la tenace opposizione della ragazza, che vuole divincolarsi dalle figure maschili e dalle imposizioni, ma anche la vulnerabilità di due uomini—padre e ragazzo—che, in modi diversi, perdono entrambi davanti all’autodeterminazione di Elvyra.
Majonezë rende con accuratezza l’euforia dell’amore adolescenziale, gli impulsi che prendono forma in un’attitudine un po’ punk, che sfida gli schemi imposti e mette in discussione le forme di autorità. È una storia di trasformazione, di crescita, che racconta il vagabondare giovanile e l’esplorazione interiore alla ricerca di sé stessi. In un cortometraggio in grado di percuotere, Grandinetti guida alla perfezione la macchina da presa, che insegue i personaggi nei loro picchi emotivi, restituendo a chi guarda un corredo di sentimenti ed emozioni impetuosi, che vanno dalla rabbia all’insicurezza, dall’ardore all’euforia. La tensione, dunque, resta alta fino al finale amaro, merito anche delle inquadrature che valorizzano le interpretazioni attoriali.
E come in Taxibol di Santambrogio, anche qui l’impeto della ribellione si configura come risposta necessaria all’oppressione nelle sue possibili articolazioni, nel tempo e nei luoghi. I due lavori si incrociano in questo impulso verso il futuro che passa attraverso la rielaborazione del proprio rapporto con il passato, tanto intimo e familiare come nel caso di Elvyra, quanto politico e collettivo nel caso di Cuba e Filippine.
Tra l’estetica del bianco e nero e storie oltre confine, i due lavori del nuovo appuntamento di Indocili sono prova del cinema come mezzo di riflessione sul presente e del reale, ma anche della potenza del cortometraggio, capace di creare in poco tempo un legame empatico tra le storie raccontate e chi guarda.
Per chi sarà a Milano, l’appuntamento è martedì 25 marzo al Bar Rondò ore 20:00 per la masterclass gratuita con Alessandro Del Re (senior programming manager di MUBI), ore 22:00 al Cinema Beltrade per le proiezioni dei film e l’incontro Giulia Grandinetti e Tommaso Santambrogio.