Berlinale 75. Cosa abbiamo visto #1
El Diablo Fuma (y guarda las cabezas de los cerillos quemados en la misma caja) di Ernesto Martínez Bucio (regia e sceneggiatura), Karen Plata (sceneggiatura), con Mariapau Bravo Aviña, Rafael Nieto Martínez, Regina Alejandra, Donovan Said, Laura Uribe Rojas. Messico, 2025.
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Una casa con il diavolo fuori o con fuori la peste che prende le sembianze di vicini ambigui. Un’ombra alla porta la notte in cui sparisce qualcuno, una madre stremata, e compaiono scarpe nuove per tutti i figli e le figlie. Un’ombra che ha i contorni del diavolo ma che vede solo il più piccolo della famiglia, e anche la nonna che fa di tutto per tenere fuori la peste o il diavolo. Mobili contro le porte, finestre oscurate, l’acqua dal pozzo nel giardino, un padre che parte per cercare la moglie, luce che salta, nascondigli improvvisati e poliziotti che capiscono. Ma la peste è dentro, è dentro la mente, è dentro le pareti sigillate di una casa che è un fortino assediato, ma assediato dall’interno, appunto, in cui le regole sono indiscutibili e durante i riti non bisogna piangere. Poi però è il diavolo in persona a riaccendere le candele, dopo che i servizi sociali hanno consegnato l’avviso che il giorno dopo i minori verranno presi e portati in una struttura d’accoglienza, finché non tornano i genitori. Il diavolo in persona, che è sempre stato dentro casa, perché non c’è argine al dolore come all’amore.
Hot Milk di Rebecca Lenkiewicz (regia, sceneggiatura), con Emma Mackey, Fiona Shaw, Vicky Krieps, Vincent Perez, Patsy Ferran. Regno Unito, 2025
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“Hot Milk” cerca maldestramente un ordine dentro sentimenti disordinati, nelle gambe di una madre che si rifiutano di camminare pur potendo, nelle urla di una figlia che le fa da badante e infermiera, e che perciò si nega un’esistenza che, a sua volta, per affermarsi, si torce dentro il desiderio di qualcun altro. Tutto questo amore devastante, lasciato in mezzo a una strada mentre nella notte più spessa arriva un camion a sciogliere la verità, tutto questo amore sgualcito come un panorama che si affaccia sulle vite addormentate degli altri, è la conferma di ciò che diceva Fassbinder, che solo l’amore è più freddo della morte. Anche “Hot Milk” si chiede dove sia la peste, e la trova in quel passato che travolge il presente, mentre non bastano le vetrate luminose dei luoghi di cura, dove i demoni possono essere liberati, non bastano perché di nuovo la peste è già entrata dentro le protagoniste e ne ha segnato gli occhi, le braccia, le gambe come puntura di medusa.
Koln 75 di Ido Fluk (regia, sceneggiatura), con Mala Emde, John Magaro, Michael Chernus, Alexander Scheer, Ulrich Tukur. Germany, Poland, Belgium, 2025
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“Koln 75” è un film che sa che la storia è un pretesto per essere complici del mito. Keith Jarrett è uno dei più grandi jazzisti viventi, il suo concerto di Colonia il disco più venduto di improvvisazione jazz e uno degli eventi musicali che maggiormente hanno segnato l’immaginario collettivo del ‘900. Vera Brandes è colei che ha reso tutto questo possibile, nel 1975, mentre la Germania e il mondo esplodevano di rabbia, amore, violenza e libertà, molto più sinceramente e disperatamente che nei favolosi anni ‘60. Quindi c’è un sogno, un desiderio, una visione impossibile, una vertigine contemporanea, perché a raccontare il passato di cinquant’anni fa si racconta il presente. Si guarda in macchina, spesso, in “Koln 75”, come a rendere manifesta la costruzione del mito: non è un modo per coinvolgere lo spettatore, quanto piuttosto forse un modo per trascinare il passato nel presente e mostrare nuda la finzione del racconto che così diventa più reale del vero.