Here
Un’unica inquadratura ripercorre la storia di un luogo attraverso lo scorrere del tempo.
Dai dinosauri ai giorni nostri, personaggi e famiglie con varie dinamiche abitano uno spazio che diventerà un salotto e centro del film.
Il vero protagonista è l’intreccio fra storia e tempo intesi come flusso evolutivo attraverso le epoche e i cambiamenti. Il susseguirsi di momenti che sono sempre la stessa realtà in ripetizione fra nascita e morte e tutto quello che esiste in mezzo.
Fra questi lembi di vicende spicca (ma nemmeno così tanto) quella della famiglia Young.
Se quando vado al cinema voglio entrare in uno stato di ipnosi, con Here non è possibile.
La scrittura è frammentaria, le storie sono zoppe e non articolate, si crea una falla che divide i personaggi dallo spettatore provocando l’abbandono del coinvolgimento emotivo. Tante narrazioni che però non lasciano il segno per la loro brevità, vengono toccate superficialmente e tanto velocemente da non dare il tempo di coglierne la profondità (situazione che ricorda un reel su instagram).
Per compensare questo deficit si tenta di indurre lo spettatore alla commozione forzata attraverso un sentimentalismo artificioso e frasi da cioccolatini in scatola.
La storia della famiglia Young è ordinaria come le nostre vite per cui, in un certo senso, di facile empatia eppure l’approccio è sbrigativo a tal punto da lasciarci perplessi al loro passaggio.
Iperdosaggio CGI fino al coma, ringiovanimento digitale stile Indiana Jones e il quadrante del destino. Grottesco. Può risultare difficile emozionarsi di fronte a visi plastici, innaturali e ingannevoli che oscurano l’interpretazione.
Probabilmente è un film che intende valorizzare più le immagini, intese come abilità tecnologiche, che la narrazione.
La nota positiva è il suo lato drammatico, il tempo che scorre inesorabile, in contrasto col rimandare al domani, quindi l’impossibilità dell’agire, fino a realizzare che è troppo tardi e non si ha più occasione.
Zemeckis è il bacio appassionato sotto la pioggia tra Chuck e Kelly in Cast Away che si ritrovano dopo anni per dirsi addio per sempre, senza intelligenza artificiale, senza storie sconnesse, le scene scorrono lente e lo spettatore ha spazio per l’immaginazione.
Il progresso cinematografico può coincidere con la riconquista del reale e di conseguenza con un’inversione di rotta rispetto ad ora.
Invito Zemeckis a un ritorno al passato o forse dovrei dire ritorno al futuro.