M – Il figlio del secolo
Mussolini.
Non avevo mai scritto questa parola su una tastiera, o almeno non ricordo che le mie dita abbiano premuto quei tasti. Ora che ci penso, la pronuncia di quel nome è sempre stato un tabù per me e credo di non essere da solo davanti a questo sentimento.
Negli anni sono andato sempre più lontano dalle idee politiche di Benito Mussolini e per un’ironia della sorte, quanto più me ne allontanavo tanto più mi avvicinavo alla sua terra di nascita, alle sue città dell’infanzia e della gioventù.
Per un’altra ironia della sorte, la mia prima casa di Forlì si trovava dietro quella in cui Mussolini visse nel 1910, condividendo il palazzo con Pietro Nenni, suo vicino di casa.
Ora, tutto questo c’entra ben poco con la serie diretta da Joe Wright e interpretata da un magistrale, come al solito, Luca Marinelli. Credo, però, che per parlare della figura di Mussolini in Italia non si possa prescindere dalla propria esperienza personale, perché solletica delle corde emozionali di un passato (neanche troppo) lontano sulle quali si sono depositati i ricordi dei nostri nonni e delle nostre nonne. In qualche modo, anche se vissuti tanti anni dopo, siamo entrati in contatto con Mussolini, con le sue idee, con le sue azioni criminali.
Quindi, tornando a M – Il figlio del secolo, avere un Benito Mussolini che mi guarda e mi dice i suoi pensieri, che mi confessa come tradirà le sue idee socialiste, che mi racconta come cambierà idea per l’ennesima volta non mi rende più empatico verso di lui, ma anzi me lo mostra per quello che è, per l’uomo che è stato. Dietro a quella figura costruita (ad arte) di grande uomo, intransigente, si nasconde una persona vulnerabile, pensierosa, mai sicura di sé. Esattamente l’opposto, ovviamente, di quanto propagandato. Vederlo nudo, sia letteralmente che metaforicamente, allontana lo spettatore da quella solita e classica visione che abbiamo di lui, ci allontana, inoltre, anche dal giudizio che i nostri nonni e le nostre nonne potevano avere.
Un personaggio costruito magistralmente che si mostra per quello che è: un uomo logorato dal potere, uno stratega abile e un ammaliatore di masse che fa perno sulle fragilità della società. Un arco narrativo in cui l’ambizione lo porta a emanciparsi da una condizione di disagio economico (nella quale continuerà a far vivere sua moglie Rachele e i figli), logorando l’uomo e fortificando il politico.
L’ambientazione cupa e oscura rispecchia, poi, oltre che il disagio economico e sociale, anche la pochezza dell’animo umano del primo fascista per eccellenza e dei suoi camerati, condita da una concitata colonna sonora elettronica che ne esalta l’aggressività. Un’ambientazione che richiama le atmosfere steampunk e che ci porta in un mondo lontano, ma non troppo, impossibile, ma non troppo, onirico, ma non troppo. Una narrazione che, così facendo, ci permette di domandarci, in ogni momento, siamo così lontani da questo mondo? Siamo sicuri che, tolta ambientazione, contesto ed episodi, il concetto alla base del fascismo non possa tornare? Ci costringe a chiederci: ma è successo davvero tutto questo?
Spoiler: sì, è successo davvero tutto questo e forse può succedere ancora.