2024: le classifiche di BILLY
È un 2024 cinematografico che attraversa territori sofferenti e dolenti, quello amato dalla redazione di BILLY, che, come sempre, propone una sintesi non banale da cui emerge prepotente una disperata volontà, che si fa tendenza, a interrogare il male nelle sue manifestazioni più insidiose e, a tratti, inaspettate.
Se infatti “La zona di interesse” di Glazer — vincitore indiscusso e forse indiscutibile — esplora, in un formalismo persino inaudito, la oramai fin troppo frequentata «banalità del male» attraverso la quotidianità di una famiglia nazista che somiglia tanto a quelle tradizionali tanto agognate dai fremiti contemporanei, ecco allora che due opere come “The Substance” e “Povere creature” indagano il corpo femminile come territorio di liberazione e conflitto, la prima senza sconti, Lanthimos in una dimensione invece maggiormente sottile. Poi c’è Sorrentino, nel suo film meno muscolare e più libero e superficiale, forse finalmente in pace con i fantasmi delle urgenze formalistiche ma così tanto a-morale e urbano da divenire memoria esso stesso, un cinema forse davvero realista, come vorrebbe il suo autore, così come “All We Imagine as Light” apre squarci debordanti di poesia nell’esigenza non rimediabile del realismo.
Sul fronte delle serie, il 2024 di BILLY segna un cambio di passo significativo rispetto all’egemonia USA dell’anno precedente, e, in maniera arrogante, sposa, oltre all’interrogazione del male come anomali, l’attitudine più cinematografica della serialità contemporanea — o quella più seriale del cinema attuale. Ecco allora “Ripley“, scritto e diretto da uno sceneggiatore premio Oscar come Steven Zaillian, che reinterpreta il thriller psicologico con rigore formale assoluto e abbacinante, e poi “Baby Reindeer“, la più televisiva tra le opere, che però destruttura il trauma attraverso una narrazione non lineare. E mentre “Il simpatizzante” del genio cinematografico Park Chan-wook esplode e contamina uno sguardo raramente proposto sulla guerra del Vietnam, ecco che la presenza italiana è quella malata dei fratelli D’Innocenzo, i quali portano il loro sguardo autoriale e sudicio in una storia sordida pensata e distribuita come un film, sì, ma amata e smodata in un formato seriale che la esalta.
Emergono allora, forse, due dorsali sulle quali abbiamo ballato e riflettuto e sofferto, in questo 2024: l’indagine sulla natura irrevocabile del male — non più o non tanto come fatto storico ma come presenza infinitamente quotidiana — e una rinnovata attenzione alla forma, dove la sperimentazione narrativa e stilistica, posto che ci sia differenza, diventa uno strumento vitale di comprensione del presente. A differenza del 2023, non c’è più un cinema “eclettico e attento”, ma un cinema e una serialità che fanno della forma stessa un dispositivo di interrogazione morale.