Quattro figlie
La ‘conservazione della sensazione’ è come Platone definisce la memoria.
La memoria vive in un luogo dove il tempo strumentale perde di validità.
Il tempo, dunque, diviene un mezzo che si muove dentro di noi ed è capace di resuscitare qualsiasi cosa e chiunque.
Dalí nel ‘La persistenza della memoria’ intendeva mostrare lo scorrere del tempo, misurabile da un punto di vista pratico e invece variabile nel ricordo che gli sopravvive e che rispetta solo la logica dello stato d’animo.
La porta è aperta sulla vita di Olfa e le sue quattro figlie, due delle quali sono fuggite per unirsi allo Stato Islamico.
Per ripercorrere gli eventi, la regista decide di lasciare parlare le vere protagoniste e sostituire le due figlie scomparse con due attrici.
Comincia così la storia personale e reale di una famiglia che attraverso la parola lascia libera la sofferenza del ricordo e rivive l’abbandono.
Vedere Quattro figlie è come assistere all’intimità altrui e ci si sente parte di un contesto terapeutico dove il flashback fa da colonna portante e urla per essere mostrato, condiviso, afferrato e accolto.
Ogni silenzio è una porta chiusa che dà accesso alla scarcerazione del ricordo e alla resa al dolore.
La facoltà di rendersi volontariamente presente il passato.
Ebbene, la memoria è fallace ma persiste il ricordo emotivo di essa, come dice Georges in Amour di Haneke “Non mi ricordo più nemmeno il film ma mi ricordo le sensazioni”.