Frammenti di un percorso amoroso – di Chloé Barreau

Frammenti di un percorso amoroso – di Chloé Barreau

Pochi documentari parlano d’amore.

L’amore appartiene ai romanzi, ai film dai toni melò, alle commedie sentimentali.

È incollato alle pareti dell’immaginazione, del sogno, della speranza. All’amore ci si arrende o ci si ribella, l’amore si rimpiange o si schiva. È rivale o complice, ma difficilmente lo interpelliamo in qualità di attendibile testimone del nostro passaggio.

Forse per questo è poco frequente incontrarlo tra i soggetti del cinema del reale. Non si alimenta di verità l’amore. L’amore si sogna, si promette, si fa. Ma non si documenta, non si archivia, non lo si esamina. Eppure non vi è nulla di più materico, concreto e logorato dal tempo dell’amore.

Da quando aveva 16 anni, Chloé Barreau – cineasta, autrice – ha intrappolato tutti i suoi amori nella memoria. Li ha filmati e fotografati senza chiedere loro di restare in posa, senza domandare quale profilo desiderassero offrire all’incedere del tempo, senza reclamare di essere ricordata nonostante lei avesse scelto di rievocarli, tutti, per sempre.

Mentre viveva un amore, ne incideva già le cicatrici: riprendendo, fotografando, scrivendo. Sacralizzando il momento già aleggiava al di sopra dell’amore stesso, rifiutandosi di vestire unicamente i panni della protagonista, per divenire spettatrice, custode e narratrice dei suoi appassionati ricordi.

Ma la sue memorie appartengono a lei soltanto? I suoi amanti avrebbero potuto impedirle di ricordare? E le immagini sgranate delle sue VHS dicono la verità, o ammutoliscono davanti alle nitide immagini digitali delle videocamere che si accendono sul presente?  

Il documentario ricostruisce la vita di una donna attraverso il racconto delle persone che l’hanno amata. Testimonianze intime e immagini private ci fanno accomodare ai piedi di uno specchio davanti al quale la regista si sveste senza mostrarsi, lasciando che la sua immagine si imprima sullo schermo grazie ai ricordi di chi l’ha amata.

Home video e splendidi foto ritratti scrivono un’autobiografia singolare in cui il soggetto, costantemente fuori campo, si rivela ripercorrendo le orme lasciate lungo il sentiero delle vite dei suoi amanti.

Frammenti di un percorso amoroso racconta i passati amori di Barreau attraverso un repertorio di parole, da lei stessa diretto e conservato nel corso degli anni, dei diretti interessati. Il risultato è un inebriato manifesto di quanto l’amore possa rivelarsi invadente e in grado di plasmare le personalità che scelgono di assecondarlo: cosa resta dei propri passati amori? Molto, moltissimo, tutto.

Le tracce amorose individuabili nel documentario, disseminate tra Parigi e Roma, raccontano unicamente la storia di Chloé Barreau e delle persone che l’hanno amata, ma sanno stordire chi resta a guardare, con una suggestione ammaliatrice ricolma di nostalgica passione, per tutto ciò che di nostro è esistito ed oggi non è più.

Rievocando il titolo del notissimo capolavoro di Roland Barthes, Chloé Barreau realizza un documentario incredibilmente onesto e intimo, riuscendo, al contempo, a scrivere la più lunga e ininterrotta storia d’amore che esista, quella tra l’amato e la nostalgia del suo stesso amore.

Frammenti di un percorso amoroso è un viaggio emotivo sorprendetene: intrufolarsi tra i ricordi di qualcun altro, sollevare la polvere che il tempo ha depositato sopra i resti di passati amori e starsene a guardare che effetto fa richiamare all’oggi la passione, i corpi, le promesse e i tradimenti che due sconosciuti hanno condiviso in un tempo ormai sfiorito. Un’incursione che ha tutte le sembianze di un atto voyeuristico, a tratti perverso, ma che sa rivelarsi un abbagliante specchio in cui rifletterci tutti.

 “Non so se voglio amare o essere amata. Forse è la stessa cosa”. A parlare, in una delle sue rarissime incursioni davanti alla macchina da presa, è la stessa Chloé Barreau, ancora adolescente. Una dichiarazione che ci introduce al suo diario privato, che potremmo accostare all’amore così come all’atto del guardare. Vedere o essere visti, guardare ed essere osservati, è questo il soggetto indagato all’interno di questo documentario. Quanto di noi stessi è rimasto incastrato nei ricordi di chi ci ha conosciuto e quanto di loro si trova ancora invischiato nella nostra memoria? Chi ci guarda ha il potere costrittivo di incarcerare per sempre una parte di noi. Ci si con-cede la vita reciprocamente soltanto restando a guardare: un inno alla narrazione cinematografica che si sostanzia in quell’essere testimonianza e memoria comune, la traccia stessa del nostro passaggio collettivo nell’impronta spaiata di una singola trama. 

Dopo aver raccontato l’amore dei suoi genitori con La faute à mon père, il documentario su suo padre, ex prete militante, intellettuale e storico francese, Chloé Barreau ha continuato a lavorare sul recupero del passato, sul suo potere e su quanto ricordare sia assimilabile all’atto di immaginare. Il passato è manipolabile in misura smodatamente maggiore di quanto sia possibile influenzare l’avvenire. Ed è questo a renderlo immensamente più interessante.

Chloé Barreau interpreta un vampiro assetato d’amore, così bramoso di vita da donare se stessa, nuda e famelica, alle fauci eterne della videocamera. L’esposizione brutale e narcisistica a cui si sottomette ci offre l’idea di quanto martellante possa diventare il bisogno di ri-costruzione identitaria dell’io basato sullo sguardo di chi attraverso il proprio amore ci ha permesso di ri-conoscerci.

Documentare l’atto di essere amati diviene prova di pura devozione nei confronti della sacralità della memoria e dell’esultanza esplosiva della vita: se fissare nel ricordo attimi d’eternità è una violazione delle regole del tempo, rivivere attraverso gli echi delle reminiscenze altrui è reincarnarsi nell’oggetto di un amore che, proprio perché passato, non avrà mai fine.

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