Uno, nessuno e tanti Hit Man
Regia 4
Soggetto e sceneggiatura 5
Fotografia 3
Cast 5
Colonna sonora 3

Sorprende con piacere l’accoglienza dei festival europei verso opere statunitensi riconducibili ad un genere classico come la screwball comedy tipicamente hollywoodiana, oggi difficilmente tramandata da quell’industria a stelle e strisce evidentemente in crisi, motivo per cui il film in questione testimonia la necessità di rinnovarsi in operazioni di questo genere. Il caso più recente ed ..

Summary 4.0 favoloso

Uno, nessuno e tanti Hit Man

Sorprende con piacere l’accoglienza dei festival europei verso opere statunitensi riconducibili ad un genere classico come la screwball comedy tipicamente hollywoodiana, oggi difficilmente tramandata da quell’industria a stelle e strisce evidentemente in crisi, motivo per cui il film in questione testimonia la necessità di rinnovarsi in operazioni di questo genere. Il caso più recente ed emblematico è stata la recente Palma d’Oro assegnata a Sean Baker per il suo Anora che ha conquistato il cuore della croisette cannense. Lo scorso festival di Venezia era stata invece l’occasione per Richard Linklater, nome di punta di un cinema libero e indipendente, da cui nasce anche Baker, per presentare, purtroppo fuori concorso, il suo Hit Man, dal 27 giugno distribuito finalmente nelle sale italiane con il titolo esteso a Killer per caso.

È la “vera” storia di Gary Johnson, un ordinario professore di filosofia di New Orleans che oltre a dilettarsi tra le lezioni in aula e i suoi gatti a casa, dai nomi di Es ed Ego, arrotonda lo stipendio con un lavoro part-time del tutto peculiare: sotto le mentite spoglie di (tanti diversi tipi di) sicario, Gary si presta alla polizia per agire e incriminare i potenziali mandatari dell’omicidio, registrandoli durante i numerosi colloqui finché, nel momento di uno di questi, Gary, nel ruolo di Ron, non incontra Madison, una giovane donna in fuga da un matrimonio opprimente, fino ad innamorarsene, ma al patto di rimanere nel ruolo ben più estroverso e invitante di Ron.

Non serve molto per constatare come Hit Man parta subito da una premessa brillante e irresistibile, frutto di un lavoro a quattro mani tra il regista Linklater e l’attore protagonista Glen Powell (già all’attivo recentemente in un altra dimenticabile rom-com come Tutti tranne te). Ispirandosi a un vecchio articolo di cronaca, che il primo lesse nel 2001 sul Texas Monthly, e riadattando la storia del “fake hit-man” nella New Orleans contemporanea, dove smartphone e social network giocano un ruolo cruciale nei momenti più memorabili e avvincenti del film. Linklater riconferma il suo estro narrativo, libero di maneggiare una calibratissima screwball comedy all’interno di una confezione solo apparentemente leggera e spensierata, bensì ricca, capace di aprirsi con raffinatezza a diversi piani di indagine filosofica sui ruoli dentro ai quali decidiamo di interpretare le nostre identità, con noi stessi e nelle relazioni con gli altri. Inoltre, non c’è una commedia sofisticata senza due attori protagonisti che sappiano sposare con forza e carisma il ventaglio emotivo di un’opera prismatica, multiforme e sagace, capace di reinventarsi (come il protagonista nei molti sicari) nei diversi generi di un film noir e vieppiù anche thriller. A tal proposito, il già citato Glen Powell è perfettamente calato non solo nel ruolo posato del suo professore di filosofia che arricchisce le sue lezioni a partire dall’esperienza sul campo, ma anche in tutti gli altri ruoli che si trova a rivestire, soprattutto quando è affiancato dalla sua controparte femminile, una stupefacente Adria Arjona della cui apparente innocenza ci faremo piacevolmente ricredere, una seducente femme fatale a cui vengono cucite addosso affilate gag da commedia erotica dietro alle quali si nasconde, con un minuzioso crescendo di suspence, un dramma dai risvolti sempre più fitti sul piano esistenziale e psicologico.

Un’iconografia, quella del sicario, che alla scorsa edizione di Venezia è stata condivisa dai film di altri due importanti autori americani, Un Colpo di Fortuna di Woody Allen e The Killer di David Fincher. Figura invisibile e disvelatrice di rapporti di potere, sentimentali e sociali, il sicario in queste tre opere funge da dispositivo narrativo e filosofico su diversi toni e generi, e risulta quantomai evidente il debito di Linklater nei confronti della poetica Alleniana, dove il sicario forniva la (dubbia) risoluzione esistenziale agli intrighi alto-borghesi nel capolavoro Crimini e Misfatti del 1989, poi ripreso anche nel più recente film girato a Parigi. Sarebbe però riduttivo ricondurre tutto a questi titoli, dal momento che l’Hit Man di Linklater e Powell vive esso stesso di un ramo più esteso della storia del cinema, omaggiata da un veloce montaggio che passa in rassegna frammenti di Orson Welles, Seijun Suzuki, Brian De Palma, Sergio Leone e tanti altri, squarci di un’iconografia che ci riporta alla vita dimessa di Gary, poi esposto in quel crocevia di doppie identità, doppigiochi, tra es e ego, legale e illegale, paura e desiderio. Crasi con cui dovrà imparare a convivere nel ruolo più avvenente e sicuro di Ron che infiamma la passione per Madison, portata alle estreme conseguenze in una geniale scena in cui i due amanti costruiscono un’improvvisazione sulle Note dell’Iphone al riparo dall’ascolto della polizia.
In Hit Man sgorgano maschere, protesi facciali e una costellazione di costumi che innescano nella parabola di Gary/Ron una inevitabile vena pirandelliana, dove al gioco dell’interpretazione segue quello della manipolazione e, di conseguenza, quello del desiderio come via di fuga dalle contraddizioni costrittive di un ruolo sociale, in quel grande retroscena che alimenta la commedia della vita, costruendo, come killer per caso, una performance dopo l’altra per ritrovarsi infine se stessi.

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