Confidenza, di Daniele Lucchetti
Confidenza è un film nervoso, disturbante, teso, inquieto. Un film in cui il vero protagonista è il segreto: un’indicibile rilevazione che diviene minaccia costante alla carriera e alla vita di un uomo, solo in apparenza, ordinario.
Elio Germano interpreta Pietro Vella, professore di lettere alle superiori e poi scrittore pedagogo. Amato dagli alunni per la sua solidale bonarietà e i consigli di vita dispensati (non lo vediamo mai parlare di letteratura), Vella inizia una relazione con Teresa Quadraro (Federica Rosellini), sua ex studentessa. In una notte di rilevazioni, i due amanti decidono di confessarsi il loro segreto più compromettente: quello di Vella è talmente inquietante da spingere Quadraro ad abbandonarlo e farsi unica custode di quell’informazione che potrebbe rovinarlo.
L’ultimo di Luchetti lavora per privazione: non parla, non rivela, non scioglie i nodi. Come? Primo, usa espedienti narrativi capaci di mescolare realismo e finzione in una sospensione surreale della verità (aiutato dalla colonna sonora concreta e angosciosa di Thom Yorke) con un rimando filosofico ai Taviani e al primo Avati; secondo, trasforma il personaggio di Vella, e il corpo e volto di Germano, in un catalizzatore di tensioni drammaturgiche e umane, ovvero lo fa portatore di una nevrosi classica da personaggio dostoevskiano roso dall’indicibile e perseguitato dai lapsus (ripete il gioco della rivelazione con la figlia piccola). Luchetti sfrutta allora l’inquadratura per acuire il dilemma: un segreto rivelato unisce gli amanti o è spada di Damocle? Ne è testimone la scena della rivelazione. La camera si concentra su Quadraro, allontanatasi sul balcone, mentre si rivolge a Vella, appoggiato al divano del salotto, come se fosse ancora vicino a lui: un avvicinamento umano, quello della confidenza spassionata, per un allentamento fisico. E infatti sino alla fine, in questo principio di negazione, sono la presenza costante di Germano in campo e l’assenza sempre più minacciosa di Rosellini a definire il rapporto di potere tra i due protagonisti.
Non c’è nessuna pretesa morale in Confidenza, come dice lo stesso Luchetti. Il messaggio semplice, superficiale, apparente, è quello del dubbio se rivelare i propri segreti a chi si ama o tenerli per sé preservando lo status quo. «Io non vi dico il mio segreto: voglio continuare ad amarvi, ed essere amata da voi» confessa la moglie di Vella (Vittoria Puccini) a cena dopo che la figlia ha riproposto, per l’ennesima volta, il gioco della confidenza. O forse no, forse un sottotesto c’è: come notato da Canova su We Love Cinema, Vella è archetipo fragile dell’intellettuale italiano borghese, acculturato, di sinistra, vessato però da dilemmi etici e segreti, metafore della sua impossibilità di adattarsi alle contraddizioni del mondo circostante.
Lasciando da parte l’analisi semiotica, guardare Confidenza significa patire con il protagonista, solidarizzare con la moglie, soffrire con l’amante, lasciarsi trascinare nei bui utilizzati da Luchetti per passare da un piano temporale all’altro. Bui interpolati per accompagnare chi guarda sempre più a fondo nella psiche confusa di Vella. Sebbene un inizio un po’ farraginoso e alcune ripetizioni, il film ha un’ossatura resistente e un montaggio intelligente e acuto.
Insomma, alla fine, sono il buio, il non detto, l’incomprensione e il segreto a padroneggiare nel racconto di un uomo spaventoso e spaventato. Come sono spaventati spettatori e spettatrici: perché siamo noi i primi a non riuscire a credere che dietro un’ordinarietà così semplice possa nascondersi un segreto tanto mostruoso da portare alla follia.