Civil War – Chi fa la storia e chi la racconta
Scritto già nel 2020, Civil War è l’ultimo film e anche l’addio (temporaneo?) alla regia di Alex Garland, che ambienta la storia in un futuro prossimo in cui gli Stati Uniti sono impegnati in una guerra civile tra stati ancora fedeli al Presidente e altri, come il Texas e la California, che si sono uniti nelle Western Forces e che stanno assaltando Washington nel tentativo di uccidere il Presidente.
A documentare tutto questo è un gruppo di fotoreporter guidati da Lee Smith (Kirsten Dust), una famosissima fotografa di guerra, insieme al suo braccio destro Joel (Wagner Moura), l’anziano giornalista Sammy (Stephen McKinley Henderson) e la giovane aspirante fotografa Jessie (Cailee Spaeny).
Il film è un road movie in cui il gruppo parte alla volta di Washington per cercare di intervistare il Presidente, che vive sempre più isolato e senza concedere interviste da più di un anno, in un viaggio che li porta a documentare la situazione degli Stati Uniti in questo clima di guerra civile con momenti tragici e tipici, come uomini che si fanno giustizia da soli, guerriglie urbane, civili sfollati, baraccopoli, strade deserte, macchine distrutte, piccole comunità protette da soldati in cui si cerca di andare avanti o di vivere come se la guerra non ci fosse.
Se in Annientamento (2018) Garland metteva al centro del film una spedizione unicamente composta da donne nel tentativo di esplorare l’area occupata dal cosiddetto “Bagliore” e raggiungerne il fulcro, qui invece una spedizione composta da due uomini e da due donne ci porta all’interno degli Stati Uniti coinvolti in una guerra interna di cui non sappiamo le cause – il film infatti inizia in medias res – né da quanto tempo si stia protraendo.
Contestato già prima della sua uscita in quanto accusato di essere opera di propaganda – al di là di tutto è indubbio che l’opera rifletta il forte clima di tensione presente negli Stati Uniti, testimoniato dall’episodio dell’assalto a Capitol Hill avvenuto il 6 gennaio 2021 – l’ultimo film di Garland riprende delle avvisaglie che aleggiavano già nel cinema americano, vedi La seconda guerra civile americana (Joe Dante, 1997) e Bushwick (Jonathan Milott, Cary Murnion, 2017), e si presenta volutamente freddo, privo di giudizio, adottando diversi tipi di regia che vanno dalla macchina a mano, che ci rende partecipi dell’azione, passando per sequenze rallentate con piani fissi fino all’assalto finale alla Casa Bianca.
Adottando uno stile post apocalittico per raccontare un mondo ancora in piena apocalisse, lo sguardo di Garland mostra una guerra civile che in verità potrebbe scoppiare in ogni paese. Civil War vuole infatti essere una riflessione su come l’essere umano stia distruggendo se stesso, e, se in Annientamento il “Bagliore”, quindi l’avvenimento alieno, non puntava a annientare quanto a modificare l’esistente, a creare qualcosa di nuovo, ecco che invece è l’uomo che tende a distruggersi non trovando possibilità di dialogo, portando avanti una guerra priva di regole, fatta di scontri tra piccole fazioni in cui a un certo punto ognuno combatte per se stesso senza pensare alle conseguenze future.
L’opera però non è solo incentrata su chi fa la storia, ma soprattutto su chi la racconta (Garland prima che regista è infatti scrittore e sceneggiatore), cioè i reporter, che non sono assolutamente presentati come degli eroi: non c’è pietismo né sentimentalismo in quello che fanno, vengono privati di ogni manicheismo, sono esseri umani che quando si sentono in pericolo piangono, stanno male, ma nel momento in cui sono in mezzo alla guerra trasformano il pericolo nella loro adrenalina e diventano anche loro macchine da combattimento che utilizzano le loro macchine fotografiche come armi per testimoniare quello che sta succedendo.
Il regista consegna dunque loro un ruolo chiave in quanto promotori di quell’immagine talmente potente da smuovere le coscienze, ma dietro quell’immagine vi è la freddezza, il cinismo, l’egocentrismo di personaggi che vivono dell’adrenalina della guerra.
Una condizione, quest’ultima, che si trasmette velocemente alle nuove generazioni, a cui spetta il compito di raccontare quello che avviene nel mondo, come testimonia il personaggio di Jessie i cui occhi vanno a sostituire quelli stanchi e depressi di Lee, ormai sopraffatti dagli orrori umani visti nel corso degli anni, e che comincia a avere problemi di esistenzialismo.