Cosmopolis – L’asimmetria della resistenza
Rivedendo Cosmopolis (2012) a distanza di anni si può dire che nel suo insieme il quadro risulti più chiaro se non addirittura profetico riguardo il capitalismo e la sua parabola decadente come la crisi pre e post COVID ha dimostrato.
L’opera di David Cronenberg, tratta dal romanzo omonimo (pubblicato nel 2003) di Don DeLillo, solo apparentemente sembra allontanarsi da quelli che sono i canoni del regista ideatore del “body horror” – che a partire dagli anni 2000 ha portato la sua ricerca dalla trasformazione corporea a quella dell’animo umano – poiché nello stesso Cosmopolis ritornano le tematiche che lo hanno da sempre contraddistinto quali il rapporto uomo-macchina, il sesso, l’attenzione sul corpo stesso, sulla sua fisicità, sugli odori, oltre che una profonda indagine esistenziale.
Cronenberg realizza un road movie atipico dove il protagonista, il miliardario Eric Packer (Robert Pattinson), attraversa a bordo della sua limousine una New York in subbuglio per via di una serie di avvenimenti quali la visita del Presidente degli Stati Uniti, manifestazioni anarchiche e il funerale di una star del rap, per soddisfare il suo vezzo/capriccio di aggiustarsi il taglio di capelli dal suo barbiere di fiducia.
A bordo della sua limousine – che è a tutti gli effetti un personaggio del film, nonché un emblema del capitalismo dove si avvicendano varie figure tra cui assistenti, medici e amanti – Eric ha per oggetto di studio i numeri della borsa, in particolare quelli legati allo yuan su cui sta facendo grosse speculazioni.
Come in π – Il teorema del delirio (Darren Aronofsky, 1998) si crede che nella traslitterazione dei numeri della borsa ci sia il vero nome di Dio e ciò porta il suo protagonista alla pazzia, così i numeri della borsa risultano fatali ad Eric per la sua incapacità di non capire l’andamento dello yuan determinando quindi il collasso di tutto il suo patrimonio finanziario. Il suo viaggio si trasforma allora in una ricerca nel capire che cosa sia andato storto e la risposta risiede nella prostata asimmetrica che il medico gli ha diagnosticato: un’anomalia nel suo corpo curato e controllato quotidianamente, potremmo dunque dire un’anomalia del sistema.
Il metodo previsto da Eric prevede infatti una ricerca continua dell’armonia dei numeri e degli elementi in generale tenendo sempre meno conto di quelli che sono le imperfezioni e le asimmetrie che si possono verificare, ed è questa mancanza di attenzione o, se vogliamo, la dimenticanza della possibilità di anomalie a determinare la sua caduta.
È proprio nel concetto di asimmetria che possiamo dire si rivela la forma di resistenza di questo film, è l’asimmetria che fa crollare il castello di Eric sia nel suo metodo di calcolo che nelle sue idee. L’impossibilità dunque di ricondurre il tutto dentro uno schema precostituito.
Allo stesso tempo Cosmopolis pare un’opera asimmetrica nella filmografia di Cronenberg che coraggiosamente sembra anche rivedere se stesso, allontanarsi da se stesso anche se poi – come abbiamo appunto avuto modo di notare – riesce sempre comunque a immettere quelli che sono gli elementi tipici del suo cinema senza così venire meno al suo percorso.
Perché è indubbio che Cosmopolis sia un’opera che risulta essere una vera forma di resistenza proprio in virtù del linguaggio cinematografico che esprime sia nella sceneggiatura – molto incentrata su dialoghi che vanno dall’economia, passando per il sesso, la tecnologia fino ad analisi sul proprio essere – sia nella messa in scena con tante sequenze (a bordo o fuori dalla limousine) montate sì in ordine cronologico, ma che potrebbero singolarmente costituire un “episodio” a sé. Il tutto accompagnato dalla sensazione che l’intera vicenda sia quasi ambientata in un tempo sospeso come sospeso è lo spazio all’interno della limousine, una sorta di “ufficio mobile” isolato dal resto del mondo.
Il risultato quindi è un quadro che può risultare ostico al grande pubblico, cosa che però sembra non importare a Cronenberg che decide di prendersi questo rischio realizzando quello che insieme a Holy Motors (2012), Titane (2021) e Beau ha paura (2023) è probabilmente il film più coraggioso di questo nuovo millennio.
E se la resistenza data da Cosmopolis è presente nella sua stessa messa in scena, è altrettanto vero che l’opera costituisce anche una resistenza al capitalismo stesso (definito «uno spettro che cammina per il mondo») o perlomeno la convinzione che sarà lo stesso capitalismo ad autodistruggersi come dimostra la parabola decadente di Eric che per un suo stesso errore finisce per perdere tutto e, incapace di trovare un aiuto dalle persone che lo circondano ma di cui in fondo non sa molto, cadere in uno stato di profonda inquietudine che lo spinge a finire volutamente nelle braccia del suo carnefice. D’altronde come recita l’incipit del film e del libro «Il topo diventò l’unità monetaria».