Resistenza
Nel corso del mese appena trascorso abbiamo in sostanza cercato di indagare se, e come, sia in atto un costante aumento di una ricerca ossessiva della perfezione estetica dell’immagine e come questo possa aver contribuito a creare un nuovo linguaggio dell’audiovisivo il cui risultato ultimo possa essere quello di attribuire il valore di un’opera sulla base di criteri che non tengono conto della complessità semiotica del mezzo cinematografico, finendo così per dimenticare (o rifiutare) quel piano cruciale di efficacia affettiva di cui il cinema dovrebbe essere messaggero.
Se, dunque, il fine ultimo dell’opera visiva dovesse esaurirsi nella sua forma estetica, accessoria e marginale, perdendo il contatto con la sua natura sostanziale, ci troveremmo di fronte una via che porta inevitabilmente alla perdita di singolarità e originalità a cui è necessario resistere, per evitare che ogni immagine sia copia di quella precedente, e che la figura dell’autore (sempre che abbia ancora senso parlarne in termini etimologici) venga privata del suo valore aggiunto diventando sempre più sostituibile, o addirittura superfluo.
Queste premesse hanno costituito un interessante trampolino di lancio per il tema di questo mese, in cui cercheremo di affrontare e approfondire alcuni aspetti teorici e pratici di come il cinema dovrebbe resistere (e di come, a onor del vero, riesce ancora a fare) alle derive omologanti e squalificanti del linguaggio contemporaneo, mantenendo una conflittualità, formale e contenutistica, in controtendenza rispetto ai canoni della comunicazione digitale e massmediatica.
Per parlare di resistenza abbiamo quindi prima avuto necessità di tratteggiare e rendere visibile l’esistente, allo stesso tempo speculare e complementare, e solo in un secondo momento abbiamo riflettuto sui suoi contenuti in opposizione cercando poi di affrontare quelle pellicole che, a vario titolo, abbiamo riconosciuto come resistenti in termini di forma, contenuto e conflittualità con il reale (narrato e percepito).
Se, come sostiene Georg Franck «viviamo in un universo mediatico e percettivo capitalista che riproduce una divisione tra una classe ristretta con un grande capitale attenzionale (e i mezzi per accumularlo) e una classe massiccia, relativamente priva di attenzione, che tende a dare più che a ricevere attenzione», questo mese BILLY cerca di invertire la rotta, di concentrare le attenzioni sui contenuti e le forme in opposizione, di ridurre quelle distanze, di rendere visibile ciò che spesso rimane nell’ombra.