Saltburn, il film incompleto di Emerald Fennel
L’ultimo lavoro di Fennel, regista, attrice e sceneggiatrice premio Oscar per la sceneggiatura originale nel 2021 con Promising Young Woman, sta facendo parlare soprattutto per le scene esplicite e per il rapporto tra Oliver (Barry Keoghan) e Felix (Jacob Elordi). Saltburn, però, è un film alquanto insoddisfacente.
Oliver è un giovane della classe media ammesso a Oxford con una borsa di studio. Qui incontra Felix, rampollo della ricchissima famiglia Catton. Entrato nella cerchia di Felix, Oliver viene invitato a passare un imprecisato periodo di tempo presso la magione di Saltburn, residenza della famiglia Catton. Le vite dei protagonisti cambiano in una spirale incontrollabile, tra feste, perversioni, nevrosi e colpi di scena.
Gli aspetti positivi di Saltburn sono la performance di Keoghan e la fotografia. L’attore irlandese infatti mette il suo ghigno nervoso e suoi tic al servizio di un personaggio complesso, contraddistinto da più piani interpretativi e da un indubbio grado di profondità emotiva. Linus Sandgren, premio Oscar per la miglior fotografia con La La Land nel 2017 e direttore della fotografia, tra gli altri, in Babylon e Don’t Look Up, opta per colori caldi di viscontiana memoria; buono anche il 4:3 che schiaccia il racconto, da godersi più al cinema (non in Italia) che sui supporti solitamente utilizzati con Amazon Prime Video (dove il film è reperibile).
I problemi di Saltburn, invece, sono struttura e scrittura. Il film ci mette un quantitativo esagerato di tempo ad arrivare al primo punto di passaggio, soffermandosi in modo narrativamente ingiustificato sull’introduzione. Una volta giunti, Saltburn accelera in uno sprint finale dove i vari filoni, legati ai protagonisti principali, più che sciogliersi naturalmente, si accartocciano. Alcuni passaggi di scrittura sono poi incompleti, in una descrizione dei fatti che alla ragione dello spettatore dovrebbe risultare, quantomeno, inverosimile. Manca rotondità nella descrizione dei personaggi comprimari e alcuni temi (come il razzismo) vengono solo accennati e lasciati sospesi.
Da Fennel e dalla produttrice Margot Robbie ci si aspetta qualcosa di più. Anche perché non si capisce dove il film, vista la sua intraprendenza sociologica, punti a livello semantico. È il povero che viene corrotto dai ricchi, o la pazzia è un seme già insito in lui? È la società dell’opulenza a volerci tutti potenziali pervertiti, o l’individuo cova già in sé le radici del male? Saltburn in questo senso qualcosa prova a dirlo, ma non riesce nella forma.
Sufficiente sì, ma insoddisfacente.