Alle radici della “gioventù cannibale”
Mentre entrambi stavano per morire la rana chiese all’insano ospite il perché del folle gesto. «Perché sono uno scorpione…» – rispose lui – «È la mia natura!»
Esopo, Favola della rana e dello scorpione
Nel celebre finale della favola di Esopo La rana e lo scorpione quest’ultimo dimostra come alla propria natura non si riesca a resistere e non la si possa modificare anche quando le circostanze lo richiederebbero, così questo articolo punta a mettere in luce quanto le nostre radici naturali – da dove veniamo, chi siamo – influenzino le nostre scelte, i nostri comportamenti, la nostra crescita, la presa di coscienza di se stessi, e lo vuole fare attraverso l’analisi di tre film horror a sfondo cannibale realizzati negli ultimi dieci anni che vedono protagonisti degli adolescenti che devono fare i conti con la loro natura: We Are What We Are (2013) di Jim Mickle, Raw (2016) di Julia Ducournau e Bones and All (2022) di Luca Guadagnino.
Il film di Mickle racconta della famiglia Parker, all’apparenza normale, ma che nasconde una natura cannibale. Dopo la morte della madre e la consapevolezza di essere stati scoperti, il padre decide di avvelenare le due figlie adolescenti Rose e Iris e il figlio piccolo Rory per poi suicidarsi, ma, scoperto il piano, le figlie si ribellano vogliose di un’altra vita e di un destino diverso e, letteralmente, divorano il padre per poi scappare col fratellino verso dove non si sa, cosa ne sarà di loro non è dato sapere, sappiamo solo che partono portando con sé un diario con descritti nel dettaglio i ricordi di cannibalismo lasciati dai loro antenati, a dimostrazione che, ovunque vadano, non possono dimenticare quello che sono, si porteranno sempre dietro il loro passato.
E se il viaggio dei figli Parker è del tutto aperto, quello di Maren, la protagonista di Bones and All, è un percorso che la porta a attraversare gli Stati Uniti nel tentativo di ritrovare la madre da cui ha ereditato il suo essere cannibale. Come le sorelle Parker anche Maren è consapevole della sua natura – che fatica a controllare – e per questo viaggia in lungo e in largo con il padre scappando da ogni posto in cui è stata protagonista di un atto cannibalistico, fino a quando il padre l’abbandona lasciandole il certificato di nascita in cui compare il nome di sua madre che decide di andare a cercare. Nel suo viaggio incontra Lee, ragazzo cannibale come lei di cui si innamora, e che ha accettato la sua natura procurandosi “il cibo” secondo un suo “codice etico”.
Una volta trovata sua madre, ora ricoverata in un ospedale psichiatrico, quest’ultima l’aggredisce dopo averle lasciato una lettera in cui le dice che è meglio morire che vivere come un mostro, Maren scappa rifiutando di finire come sua madre, ma non potrà sfuggire alla sua indole.
Diverso invece è il discorso per Justine, protagonista di Raw, una ragazza cresciuta in una famiglia vegetariana che, divenuta matricola della facoltà di veterinaria, è costretta da un “rito di iniziazione” a mangiare un pezzo di carne cruda che comporta in lei un desiderio sempre maggiore di carne (non solo animale), ma anche stimoli aggressivi e un desiderio di apparire sempre più sensuale.
Se i Parker e Maren sono consapevoli in partenza della loro natura, Justine si differenzia da loro perché lei invece non ne ha sentore e il film si trasforma così in una scoperta della ragazza delle proprie origini e di come ciò riguardi tutta la sua famiglia che ha imposto una dieta vegetariana per evitare che la voglia di carne umana si risvegliasse.
Rose, Iris, Maren e Justine sono tutte e quattro adolescenti che si ritrovano a dover aver a che fare con la loro natura cannibale, la loro è una lotta anche contro se stesse nel tentativo di non assecondare il loro istinto, di resistergli, ma allo stesso tempo diventa per tutte e quattro un percorso di crescita fatto di incontri, di ribellione ai loro genitori, di esperienze sessuali, un vero e proprio coming of age attraverso morsi, carne e sangue dove emerge un quadro di ragazze lasciate a se stesse, incapaci di essere educate e comprese dalla loro famiglia (e – più in generale – dalla generazione che le precede), e che devono farcela da sole a trovare una loro strada e un loro equilibrio scegliendo o meno di seguire le persone che hanno attorno – parenti, amici, amanti, conoscenti – che, a differenza loro, hanno ormai accettato quello che sono. Esempi sono Alexia, sorella di Justine, che causa incidenti stradali per nutrirsi delle vittime, o Sully, uomo eccentrico che cerca di prendere Maren sotto la sua ala protettrice con l’idea di diventare così “compagni di caccia”.
Quello che sarà il destino delle nostre protagoniste non è dato sapere, tutti e tre i film infatti hanno un finale aperto, ma tutte e quattro non possono sfuggire a quella che è la loro natura, alle loro radici, che sono parte di loro e da cui non si possono liberare: come Rose e Iris tengono il diario dei loro avi, così Maren va alla ricerca della madre e Justine si confronta con la sorella prima e con suo padre poi, un’origine che ritorna come quei ritornelli delle ballate tipiche del cantautorato, perché in fondo ce lo dice già il titolo del film di Mickle: siamo ciò che siamo.