Un colpo (a caso) di fortuna.
Regia 5
Soggetto e sceneggiatura 4
Fotografia 4
Cast 5
Colonna sonora 3

C’è subito un sottile (e anticiperei: beffardo) motivo d’interesse a partire dal quel suddetto “Colpo di Fortuna” presente nel titolo italiano che compie una piccola deviazione semantica rispetto al “Coup de Chance” del titolo francese, che è anche quello ufficiale per il 50° film di Woody Allen, sua prima produzione interamente recitata in lingua francese, ..

Summary 4.2 favoloso

Un colpo (a caso) di fortuna.

C’è subito un sottile (e anticiperei: beffardo) motivo d’interesse a partire dal quel suddetto “Colpo di Fortuna” presente nel titolo italiano che compie una piccola deviazione semantica rispetto al “Coup de Chance” del titolo francese, che è anche quello ufficiale per il 50° film di Woody Allen, sua prima produzione interamente recitata in lingua francese, per cui la parola Chance, come anche per l’inglese, suggerisce, oltre all’augurio benevolo di buona fortuna, una probabilità più neutra, cinica, scettica, decisamente più in linea con le inquietudini di questo film e di tutto il pensiero filosofico presente nella lunga filmografia di Allen. Chance allora è da intendersi più come il Caso e questa sua (forse?) ultima opera segue quel filone alleniano di crimini e misfatti in cui i personaggi rimangono vittime degli eventi dopo aver avuto l’illusione di controllarli, in quella “lotteria cosmica” che trova il suo parente più stretto in Match Point, l’opera più celebre del primo periodo europeo di Allen.

Se il cugino inglese, che conosciamo tutti nella sua dicitura anglosassone, mantiene tutt’oggi la sua fama in quel concetto internazionale proprio del lessico sportivo, il titolo altrettanto icastico di Coup de chance può mutare più direttamente da noi in una più semplice “fortuna” o nella “suerte” spagnola che invece si apre anche a concetti come il destino. In qualsiasi direzione guardiamo c’è comunque il Caso che interessa ad Allen, sia come motore narrativo e soprattutto cinematografico, che come quella invisibile forza magnetica che fa incontrare, in direzioni opposte per una strada di Parigi, la protagonista Fanny con Alain, suo vecchio compagno di studi e futuro (se non fosse già chiaro dal poster) amante. Lo sguardo di Allen segue lentamente Fanny per strada, mentre dalla parte opposta irrompe nel campo lo squattrinato Alain, tutto all’interno di un lungo piano sequenza che presenta subito la cifra stilistica chiave del film. La continuità spazio temporale adottata da Allen gli permette non solo una ormai ovvia libertà nella direzione di un cast eccellente, ma anche di fissare lo scenario parigino, già raccontato dieci anni fa in Midnight in Paris, come sipario di una ennesima e graffiante tragicommedia che non fa sconti a nessuno. In bilico tra controllo e anarchia, Woody Allen orchestra una continuità fatta di piccole variazioni che intessono le pulsioni relazionali (e irrazionali) di un gioco pronto al massacro. 

Coup de chance è il mantra alleniano che a 88 anni non si preoccupa di ribadire l’ovvio, trovando in questa sua ennesima variazione sul tema un congegno cinematografico perfetto, audace come le sue ultime opere più crudeli, dal già menzionato Irrational Man senza dimenticare Blue Jasmine e La ruota delle meraviglie; tutti tasselli di un pensiero scettico sul caso, la vita, l’amore e la morte, e alle loro sfumature esistenziali che lasciano emergere una riflessione sul Male, incarnato dalla figura contemporanea del sicario, come racconta anche un altro film presentato alla scorsa mostra di Venezia, The Killer di David Fincher, ma che trova un punto di contatto filosofico anche nella spavalderia dei recenti Killers of the Flower Moon di un altro autore quasi coetaneo di Woody Allen. 

Il Caso si insinua tra i personaggi non solo come un elemento narrativo che soffia beffardo sul castello di carte dei loro destini incrociati, ma definisce un’ispirata forma cinematografica che richiama alla letteratura di Simenon e Dürrenmatt, insieme e soprattutto all’opera dostoevskiana, con quel Delitto e Castigo che è la vera pietra angolare che illumina il cinema di Allen fino ad esempi più recenti come il personaggio di Joaquin Phoenix in Irrational Man, titolo che si potrebbe cucire addosso anche al marito di Fanny, Jean, interpretato da un divertito Melvin Poupaud nel macchiare la sua icona di rohmeriana memoria. Uomo pronto a tutto, Jean non bada alle ingenti spese (di cui si sa poco della loro legittimità), pur di scoprire se la sua “moglie trofeo” lo stia tradendo, e ristabilire così il controllo della loro relazione borghese, dentro e fuori la quale Lou de Laâge dà vita a uno dei personaggi femminili più carismatici della filmografia Alleniana, perfettamente calata nel dilemma morale tra la ricca prigione coniugale e il vento passionale di una libertà con Alain. I loro rifugi sentimentali vengono colorati ancora una volta dalla fotografia di Vittorio Storaro, che dipinge con tinte stranianti l’opposizione cromatica tra la campagna benestante e l’aria metropolitana. Il jazz invece irrompe anarchico col suo contrappunto criminale, seguendo una supposta libertà istintiva tipica della sua tradizione, come il colpo di fortuna che fa intravedere uno squarcio di libertà a Fanny, per poi ingabbiare anche i più sfortunati colpi del caso che bussano alla porta della persona giusta o sbagliata, buona o cattiva, imprigionando noi con loro a una roulette russa a cui forse non dovremmo pensare troppo, finché non arrivano i titoli di coda. Se funziona potremo perlomeno sederci ancora una volta in più al cinema, whatever it works

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