Bardo, la cronaca falsa di alcune verità
Regia 2
Soggetto e sceneggiatura 2
Fotografia 3
Cast 3
Colonna sonora 3

Un regista messicano di successo vince a Las Angeles un prestigioso premio per il suo ultimo documentario. Una crisi esistenziale profonda lo accompagnerà fino al giorno della consegna del premio, dovendo così fare i conti con i fantasmi del suo passato e con i suoi dilemmi interiori

Summary 2.6 normale

Bardo, la cronaca falsa di alcune verità

Silverio Gama è un giornalista e un documentarista prossimo a ricevere a Las Vegas un prestigioso riconoscimento internazionale per il suo ultimo lungometraggio, un documentario sul Messico, suo Paese d’origine. Per la prima volta nella storia del premio, il riconoscimento andrà a un regista latinoamericano che poi ha scelto la calda e confortevole California per vivere con la sua famiglia e per costruire il suo successo. Nel tempo che trascorrerà fino alla cerimonia di consegna, Silverio tornerà in Messico e ripercorrerà tutti i dissidi interiori che connotano la sua vita privata e familiare, quella professionale-artistica, e il suo rapporto con una terra natìa della quale conserva una visione veritiera ai suoi occhi, ma estranea a chi in quel Paese ha continuato a viverci senza il filtro di una vita privilegiata. Bardo, che in alcune filosofie buddiste simboleggia proprio quel limbo transitorio tra morte e rinascita che sarà il filo rosso dell’intero film, è quindi un lungo flusso di coscienza, un percorso circolare dai toni comici e grotteschi.

Iñárritu torna dopo 5 anni con un film dal profilo autobiografico ma che lui preferisce chiamare “auto-fiction”, un lavoro che prova a guardare a e alla metanarrazione orchestrata nella dimensione del sogno. Ha proiettato nella storia di Silverio (un mirabile Daniel Giménez Cacho) un po’ della sua, le critiche verso il suo cinema, una vita personale e artistica tra due Paesi che stridono. Iñárritu ci ha riportato dopo anni nel suo Messico, per un viaggio eccessivamente lungo in compagnia del regista Silverio – e delle sue allucinazioni – nel pieno di una crisi esistenziale innescata da un successo improvviso in un mondo che sembra sgretolarsi. In questo lungometraggio in cui si mescolano sogno, realtà e ricordi restituiti al pubblico in forma grottesca, il protagonista cerca di fare ordine tra laceranti conflitti interiori in uno spazio liquido e onirico dove si alternano voci giudiziose spesso messe in sordina. I fantasmi interiori del regista (o dei registi) sono prevedibili: il rapporto genitoriale vissuto da figlio ma anche da padre, l’amore per il Messico tradito dal suo trasferimento in USA, l’intento di raccontare la storia di un popolo, salvo poi arenarsi in un mockumentary gradito ai gringos ma estraneo ai messicani, massacrato dalle critiche di una stampa che non transige (convulso e sferzante il dialogo tra Silverio e Luis, con il quale Iñárritu anticipa tutte le critiche che gli verranno mosse). 

Ma perché il premiato documentario di Silverio non trova il benestare del popolo la cui storia fa da protagonista? E perché il figlio stesso del protagonista rifiuta il film del padre e il suo sguardo sul Messico? Lì dove generalmente il cinema del reale cerca di accendere luci su angoli di mondo, l’opera di Silverio sembra esser “tradita” dal ricordo idealizzato del Paese che ha scelto di abbandonare e dal filtro borghese di una vita privilegiata, restituendo così ai pubblici del continente americano un racconto con storture e presunte menzogne. Eppure le menzogne risultano ai suoi occhi quali fatti veritieri. É il risultato di un processo di idealizzazione – dei fatti, delle storie personali e politiche – talmente forte da rendere opaco il tutto, e la linea di demarcazione tra immaginazione e realtà diventa sfuggevole. Con Bardo c’è dunque il cinema che parla di cinema, scardinando le regole della logica e prediligendo il “sentire” che apre la strada all’immaginazione, alla ricostruzione degli elementi del reale, a quella interpretazione che nel cinema Iñárritu preferisce alla verità.

Sì, perché in Bardo Iñárritu ci suggerisce attraverso le parole dei personaggi che la nostra memoria può indebolire le verità, l’emotività mescola le carte e il mondo – interiore e non solo – ci appare impalpabile e precario. Il rischio, dunque, è che possiamo essere noi stessǝ, con i nostri privilegi, sentimenti ed emozioni a modellare i profili delle storie che viviamo. E nel lungo asse verità-menzogna, il cinema con la metanarrazione mescola e ibrida fatti e punti di vista, rendendo difficile tracciare le linee di confine ed estremamente semplice abbandonarsi al flusso della narrazione. 
Bardo fa un po’ questo: cerca di assorbire il pubblico in questo lungo flusso interiore da vivere e guardare senza pretese di comprensione razionale alcuna, stordendolo con una metanarrazione parzialmente riuscita e aprendo a quel dibattito tra finzione e realtà che, però, si perde nella macedonia di temi che Iñárritu ha voluto portare dentro. 
In un continuo “entra ed esci” dai deliri personali e narcisisti di Silverio, il pubblico si ritrova investito da questa pluralità di elementi (storia, politica, fake news, accenni di colonialismo, velleità artistiche…) che contribuiscono a rendere stucchevole l’intera pellicola, facendo perdere di vista quel rapporto tra reale, finzione, verità e menzogna che connota questi nostri tempi difficili e sul quale il film avrebbe potuto compiersi meglio.

La cronaca falsa di alcune verità, dunque, poteva essere l’incipit di un’interessante riflessione sui nostri giorni, sul nostro rapporto – spesso problematico – con la verità a causa di un sentire che diventa l’unica chiave di lettura di un mondo troppo complesso per essere appannaggio solo delle emozioni. Invece si è rivelato un film pretenzioso nel quale Iñárritu ha voluto parlare principalmente di sé e dei suoi dissidi interiori, senza lasciare al pubblico alcunché.

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