Quando Dio imparò a scrivere
Il cinema del regista spagnolo Oriol Paulo è sempre ruotato attorno a elementi quali la menzogna, l’inganno, le incongruenze a partire dal suo (grande) film d’esordio El cuerpo (2012) proseguendo con Contrattempo (2016) e arrivando a raggiungere il suo apice con l’ultima sua opera Quando Dio imparò a scrivere (Netflix, 2022). Discorso a parte invece per il thriller fantascientifico Durante la tormenta (Netflix, 2018).
Quando Dio imparò a scrivere racconta di una detective privata, Alicia Gould (Barbara Lennie), che è incaricata di indagare sulla morte misteriosa di un paziente di un ospedale psichiatrico, così decide di farsi internare per svolgere al meglio le indagini, ma in seguito a un episodio il direttore della clinica (in teoria d’accordo con lei sul suo falso internamento) inizia a trattarla come una vera e propria paziente sostenendo che l’indagine che sta svolgendo è un’invenzione della sua mente malata e che ha bisogno assoluto di cure. E su chi abbia ragione dei due gioca tutta l’opera del regista: Alicia è vittima di un complotto ordito ai suoi danni oppure è effettivamente una persona insana di mente dotata di grande intelligenza e di incredibili capacità manipolatorie?
Il film di Oriol Paulo si inserisce dentro un filone ultimamente molto battuto dai registi (si pensi solo a Decision To Leave di Park Chan-wook, Bussano alla porta di Shyamalan o Kimi di Soderbergh) su temi quali la fede e la fiducia e, in questo caso, è proprio la fiducia dello spettatore a traballare in quanto non sa di chi fidarsi, non solo dei personaggi, ma nemmeno del regista e degli sceneggiatori perché l’opera arriva sì a una risoluzione, ma nonostante questo non la sentiamo solida, non tutto torna, vi sono lacune che non riusciamo a colmare, come se, in un atto da una parte “immorale” ma dall’altro voluto, fosse lasciata imperfetta come lo sono i pazienti della clinica in cui è ambientata: «Se Dio ci ha creato a sua immagine e somiglianza come una calligrafia perfetta, i pazienti che finiscono qui sono come le linee storte di quando Dio imparò a scrivere. Che razza di Dio permette una tale imperfezione?»
Il regista e gli sceneggiatori sono a loro modo gli “dèi” creatori del film e qui pare vogliano esprimere il senso di smarrimento, di paranoia, di fragilità sempre maggiore che attanaglia le persone in questo periodo post-pandemia dove molte sicurezze e relazioni sono venute meno e gli appigli a cui aggrapparsi scarseggiano o sono molto esili. In chi credere e/o in che cosa credere adesso quando né dèi, né scienza, né legami sembrano darci certezze? Dove sta la verità?
L’opera di Oriol Paulo rientra così tra quei film che, come scrive Giulio Sangiorgio, «costruiscono spettatori che, in tesissimi teatri dell’inconscio, si chiedono cosa siamo, come comunichiamo, come desideriamo, di cosa abbiamo paura.»