Quando la metanarrazione diventa menzogna
Il meta del greco antico significa “con”, o ancora meglio “in mezzo”. E nella storia delle arti meta assume ruolo di prefisso per indicare l’azione consapevole di mettere l’opera al centro dell’opera, la narrazione dentro la narrazione.
Nel cinema il concetto di metanarrativo si ibrida con la pratica di creare menzogne modellando le storie – e la Storia – a piacimento di autori e registi. Con più scopi: maggiore introspezione del personaggio, straniamento dello spettatore, esercizio di stile.
Per parlarne, qui, un bugiardino – non esaustivo – con qualche esempio a riguardo.
8½
E se non fosse per niente [una crisi] passeggera, signorino bello? Se fosse il crollo finale di un bugiardaccio senza più estro né talento?
8½: dove il personaggio diventa regista, il regista diventa personaggio. Fellini e Flaiano immergono i loro problemi, le loro diavolerie e struggenze dentro la vita naufraga di Guido Anselmi. Infatti, concetti insopportabili per l’artista – il blocco creativo, la vecchiaia, l’impotenza davanti alle memorie del passato – diventano strumenti utili a definire il soggetto alla base del film. È perciò il cinema – che in questo caso, attraverso Guido, parla anche di sé e delle storture dei suoi meccanismi – a permettere di parlare dell’incapacità espressiva dell’artista, della triste fine delle sue idee e delle sue speranze.
BUONGIORNO, NOTTE – ESTERNO NOTTE – ONCE UPON A TIME IN HOLLYWOOD
Il metanarrativo si traduce poi nel privilegio per autori e registi di modellare la Storia a piacimento. Bellocchio lo fa in Buongiorno ed Esterno Notte. Aldo Moro, per pochi istanti, non è mai morto: viene rilasciato, esce dal baule della macchina e cammina alle porte di una borgata romana, nel primo caso; nel secondo, Aldo Moro è in ospedale, circondato dai politici della trattativa sul suo rilascio. Uguale per Tarantino sul finale di Once Upon a Time in Hollywood, quando gli hippies vengono attaccati e, di conseguenza, l’assassinio dei presenti in casa Tate non accade. L’esilarante finale nasconde la truculenta realtà dei fatti: un beffardo gioco metanarrativo immerso nella menzogna, nel falso.
SYNECDOCHE, NEW YORK
Il fim di Kaufman è uno dei migliori esempi cinematografici recenti di mis en abyme. Il metanarrativo sta tutto nell’opera dentro un’altra opera: in questo caso una pièce teatrale al centro di un film; ma il confine viene spostato ancora più in la, quando la vita di Caten Cotard inizia a mischiarsi all’opera e viceversa, confondendo sempre di più lo spettatore. Il confine tra reale e irreale sembra cadere: rimane solo il cinema come strumento per permettersi – o arrogarsi il diritto – di plasmare l’esistente.
Il cinema è sempre metanarrazione: una storia più o meno artefatta, impersonata da persone altre, creata all’interno di scenografie definite e strutturate. Ma è proprio questo che esalta il metanarrativo: le regole della logica e della linearità non esistono più e raccontare bugie diventa, alla fine, la più alta forma di immaginazione.