La stranezza
Regia 4
Soggetto e sceneggiatura 3
Fotografia 3
Cast 5
Colonna sonora 3

Siamo nel 1920, la Sicilia è quella dei treni a vapore che da Catania penetrano fin dentro la provincia, a bordo salgono uomini con cappelli eleganti e donne dai vestiti ancora troppo poco agevoli. Su un vagone di questi c’è anche Luigi Pirandello che sta rientrando a Girgenti per il funerale della balìa e per ..

Summary 3.6 bello

La stranezza

Siamo nel 1920, la Sicilia è quella dei treni a vapore che da Catania penetrano fin dentro la provincia, a bordo salgono uomini con cappelli eleganti e donne dai vestiti ancora troppo poco agevoli. Su un vagone di questi c’è anche Luigi Pirandello che sta rientrando a Girgenti per il funerale della balìa e per l’ottantesima primavera dell’amico Giovanni Verga.

Ma quello che doveva essere un semplice e rapido rito funebre al quale presenziare si trasforma in una rocambolesca circostanza che allevia il peso della morte e fa incrociare le vite dei tre protagonisti. Il loculo destinato alla balia è inaspettatamente occupato da qualcun altro, le sepoltura non può compiersi nell’immediato e i becchini (Ficarra e Picone) incaricati devono porre rimedio prima che l’illustre scrittore faccia rientro a Roma. Ma Nofrio e Bastiano, oltre a dirigere il traffico di bare mai reclamate e a orchestrare riti funebri, sono anche i due volti guida di una compagnia teatrale amatoriale nel paese.

Bastiano, il più ligio e colto, e Nofrio, animo estroso, istruiscono un gruppo di donne e uomini estranei all’arte del teatro ma profondamente appassionati che, con un fare genuino e copione alla mano, si preparano per mettere in scena La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu. Pirandello verrà intercettato da questa compagnia popolare che, con tutta l’umiltà e la riverenza del caso, spera di vedere lo scrittore seduto in platea nel giorno del debutto. 

È attorno a queste vicende che il film di Roberto Andò si sviluppa, intreccia in modo tragicomico le vite dei protagonisti le quali giocano tra palcoscenico e realtà, tra improvvisazione e copione, tra italiano e dialetto siciliano, arrivando a mescolarsi e a completarsi vicendevolmente. Le classi umili e popolari incontrano il lustro di menti geniali ancora poco comprese in quegli anni, si osservano e si ispirano in un intreccio alle prese con il metateatro ma che conserva l’immediatezza e la leggerezza della commedia italiana.

Luigi Pirandello osserva silenzioso (saranno poche e brevi le volte in cui lo si sentirà parlare) dalle balconate del teatro, sempre un po’ nascosto e assorto nella sua inquietudine che traspare in un gioco di espressioni facciali molto marcato dal regista. A parlare e a orchestrare il tutto sono, da veri protagonisti, Nofrio, Bastiano, i compaesani con il loro bagaglio di emozioni e sensazioni portate fin sopra il palcoscenico. L’impeto creativo e la vena comica sdrammatizzano la morte e tematizzano le stranezze, quelle che fanno inarcare le sopracciglia e sono causa di malcontenti, accolte con diffidenza. Stranezze in cui germogliano le insicurezze tipiche del processo creativo e che avanzano assieme ai rischi e alle scommesse, turbando gli animi di chi ci crede, ma teme anche la gogna da parte di chi disapprova e non coglie fino in fondo.

La stranezza è una commedia inusuale per il genere italiano, ma ben riuscita (a dirlo anche il Box Office): non suscita risate smodate e continue in sala ma fa sentire comodə dentro la storia che sta raccontando, merito probabilmente anche dei volti scelti. Cita la morte ma la sdrammatizza. Parla di teatro ma senza respingere, perché i teatranti sono persone umili e quotidiane con storie comuni. Allude alla filosofia ma docilmente. Pirandello, in tutto ciò, non è il centro della narrazione ma un pretesto, metafora dell’impeto creativo nel quale ognunə di noi – con le dovute proporzioni – può ritrovarsi assieme alle inquietudini e ai timori del caso, legate all’incertezza delle stranezze. È un film che fa convergere grandi volti (molto diversi tra loro) del cinema italiano: la comicità di Ficarra e Picone incontra la drammaticità di Servillo e Lo Cascio (breve presenza sul finale), innestandosi in un cast perfettamente identificato e composto (tra cui Aurora Quattrocchi, Donatella Finocchiaro, Tiziana Lodato). Dunque, non solo attori dagli stili differenti ma anche pubblici diversi, e il risultato è un mix efficace in un film che riesce a parlare contemporaneamente a più persone, smussa gli angoli della diffidenza verso un certo tipo di comicità e che, allo stesso tempo, attira i più restii verso certi contesti temporali e tematici. Come scrive Claudia Catalli su Wired, ci riavvicina al palcoscenico, alla drammaturgia di un certo spessore ma che non è appesantita dall’intellettualismo.

La stranezza piace. Piace anche a chi, come me, non rincorre ogni film di Ficarra e Picone e non ama le ambientazioni pre 1950. Probabilmente è merito della genuinità della sua ironia, dell’immediatezza che rende il film un posto accogliente nel quale accomodarsi per un po’.

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