The Bear
Andrebbe presa a piccole dosi perché altrimenti rischia di travolgerti e fagocitarti con i suoi tempi forsennati e la sua imprevedibilità, oppure si può tentare di starle dietro, seguendo il suo ritmo e le sue regole, sperando di riuscire a trovare il momento giusto per respirare e riprendere fiato. Non esiste una ricetta perfetta per vedere The Bear, e nemmeno un manuale che ci guidi a riconoscere quale sia il sapore che ci lasciano le otto puntate che la compongono.
La densità di ciò che ci riversa addosso The Bear ci costringe nei tempi scanditi da una cucina chiassosa e disorganizzata, nei suoi spazi angusti e soffocanti, in cui ogni personaggio si trova per qualche motivo che nulla ha a che vedere con la scelta personale, ognuno a cercare di convivere con quell’«orso» che viene richiamato nel titolo (non più il classico e innocuo elefante in salotto, che si potrebbe anche ignorare, se non fosse per la sua dimensione) e a trovare il modo di addomesticarlo per evitare di finire sbranati dal peso che rappresenta.
Nella cucina di The Bear si trova quello che di più vicino si può immaginare alla complessità dell’esistenza: la difficoltà dell’elaborazione di un lutto, la complessità del proiettarsi nel futuro senza avere delle risposte alle domande che ci pongono l’assenza e la scomparsa, la convinzione che cambiare potrebbe far crollare le certezze su cui abbiamo fondato le nostre esistenze, il peso dei sensi di colpa. E se ognuno dei personaggi abita le proprie difficoltà in maniera personale, tutti cercano di ingabbiare il proprio «orso» facendo leva sulla propria individualità, rispondendo “bene” a ogni domanda che preme sulla curiosità di sapere come si sta, cercando di sopravvivere alle proprie battaglie interiori facendo leva solo sulle proprie forze, perché esprimere una debolezza può diventare complicato quanto chiedere aiuto.
Nonostante nella cucina di The Bear si abbia la necessità e la voglia di organizzarsi e darsi un «sistema» che valga per tutti, la ricetta per convivere con il proprio «orso» non risponde a delle regole universali e ognuno deve decidere se combatterlo, affrontarlo o ignorarlo, mantenendo vivo un equilibrio che si nutre della necessità di guardare comunque al prossimo passo, per evitare di inciampare e cadere perché all’interno di una brigata di un ristorante, di una famiglia, se si cade, si cade insieme.