Mulholland Drive e il cinema di genere
Twentieth century, go to sleep
If I ever want to fly
Mulholland Drive
I am alive
Hollywood is under me
R.E.M., Electrolite
Mulholland Drive è il lungometraggio che, spesso, apre ai neofiti la strada alla scoperta della cinematografia di Lynch. Negli anni, ormai più di venti dall’uscita, è infatti diventato archetipo di tutto quello che si può definire lynchiano, e cioè qualcosa di «caratteristico, reminescente o imitativo dei film o delle serie televisive di David Lynch. Lynch è riconosciuto per giustapporre elementi sinistri e surreali con ambienti mondani e situazioni quotidiane, e per utilizzare immagini evocative in modo da enfatizzare una qualità onirica di mistero o minaccia». (Oxford English Dictionary)
Mulholland Drive va in anteprima a Cannes nel 2001. È l’inizio del millennio, la fine anagrafica del ‘900 – e forse la fine teorica del novecentesco – il punto di inizio di un’era cinematografica fatta della morte della sala e dell’avvento dello streaming. Un periodo in cui il cinema ha però ancora, nella pratica e nella teoria, salde radici nei canoni tradizionali di forma e contenuto; insomma vive e pulsa la consapevolezza nei linguaggi, rispettati o rigettati, del secolo appena abbandonato. E Mulholland Drive accoglie queste consapevolezze: è un film di genere, psicologico, nella sua acuta caratterizzazione dei personaggi; è film di genere perché la famosa chiave blu, prima solo oggetto filmico, diventa, a tre quarti del film, espediente narrativo, vera e propria chiave di lettura utile a dare ordine a quello che si è visto fino a quel momento; è film di genere nella sua bizzarra – a volte divertente, altre inquietante – ipertestualità. Basti pensare ai dieci – e inutili – indizi per comprendere il film inseriti nel libretto del dvd.
È tutte queste cose con un piccolo, ma significativo, particolare: è un film di David Lynch.
Se Godard e Truffaut avevano messo il cinema al centro del cinema con l’introduzione di complicati artifici, trame, intrecci e montaggio d’avanguardia, quarant’anni dopo Lynch prende il cinema nuovo – la Hollywood di luci, arrivismo sfrenato e sogni infranti – e lo spoglia, per raggiungere la sua anima malata e incurabile. Perché Mulholland Drive è un film sul cinema, sulle sue dinamiche, e allo stesso tempo un film sul concetto, e sulla pericolosità, della finzione. Qui l’idea di un intreccio artificioso: sogno, realtà, illusione, slancio vitale e morte. Una parabola raccontata attraverso le storie di chi ci riesce, chi c’è dentro, e alla fine di chi perde e fa saltare tutto.
Il genere di Lynch sta tutto nelle parole di Foster Wallace in “David Lynch non perde la testa”:
«Il molto macabro e il molto banale si combinano in maniera tale da rivelare la costante presenza del primo all’interno del secondo».
Il “cinema che parla di cinema” diventa lynchiano. Il ladro spara all’uomo delle pulizie, ritrovatosi coinvolto suo malgrado sulla scena di un crimine. Nella normalità, il ladro scappa. E invece qui l’inserviente, mentre cade colpito, aziona la sua aspirapolvere. L’assassino, prima di darsela a gambe, si trova goffamente costretto a spegnerla. Il regista torna a casa e trova la compagna a letto con un altro (Billy Ray Cirus!), ma è lui a subire un’imbarazzante e degradante ramanzina dai traditori. Il ribaltamento dell’ordinario, la consapevolezza di dover rigirare i canoni immergendoli nella banalità del reale: sono questi i termini in cui Lynch opera sul genere.
E la sua Hollywood è così inusuale che il film prende il nome da una strada alquanto peculiare. Non è la verde area attorno alla scritta “Hollywood”, nemmeno luci e stelle della Walk of Fame o i tramonti rossastri sulla Lankershim Boulevard dei Foxygen. Mulholland Drive è una strada brulla, impervia, con ai lati arbusti rinsecchiti. Il posto che non sceglieresti mai per raccontare la mecca sfarzosa del cinema. Ma Lynch, in questa idea di ribaltamento e scardinamento, prende il nome di quella strada, metafora urbana dei demoni dei personaggi, e ci chiama così il suo film sulla Hollywood notturna e malata, consegnando Mullholland Drive con il suo cartello, e tutto l’immaginario che sta attorno, alla leggenda.
Il film in versione originale (con sottotitoli in italiano) sarà riproposto venerdì 2 settembre 2022 presso l’Arena Eliseo di Forlì nella sua versione restaurata dalla Cineteca di Bologna all’interno della rassegna “Nuove (Re)visioni – MeetTheClassics!