Men
Dopo l’apparente suicidio del marito James, Harper Marlowe (interpretata da una sempre bravissima Jessie Buckley) decide di trascorrere una solitaria vacanza di due settimane in un cottage nella campagna inglese per riprendersi dall’accaduto.
Arrivata al cottage conosce il bizzarro proprietario Geoffrey (Rory Kinnear) per poi fare una passeggiata nel bosco arrivando a una linea ferroviaria in disuso dove incontra un uomo completamente nudo con dei tagli lungo il corpo che la insegue, ma riesce a sfuggirgli. Il giorno dopo l’uomo si ripresenta al cottage dove viene arrestato da un poliziotto che assomiglia a Geoffrey. Successivamente Harper si reca in una chiesa dove incontra un ragazzo e un prete che hanno anche loro una certa somiglianza con Geoffrey: il primo la insulta pesantemente dopo che si rifiuta di giocare a nascondino con lui, mentre il secondo l’accusa di essere la responsabile del gesto del marito poiché lo ha cacciato di casa non permettendogli di scusarsi dopo che l’aveva picchiata. A questo si aggiunge il fatto che il misterioso uomo è stato rilasciato perché per il poliziotto non vi sono validi motivi per trattenerlo.
Harper si sente dunque sempre più osteggiata dagli uomini che abitano il villaggio ricevendo conforto solo dall’amica Riley che decide di raggiungerla, ma la notte prima del suo arrivo sarà molto lunga per Harper…
A quattro anni di distanza da Annientamento (2018) e otto da Ex Machina (2014) Alex Garland torna dietro la macchina da presa con Men (presentato al Festival di Cannes 2022), un horror psicologico che vede una donna “preda” degli uomini, della loro prepotenza e delle loro pulsioni, all’interno di un percorso di liberazione da un senso di colpa simboleggiato dal tunnel ferroviario che Harper attraversa solo a metà in quanto la figura maschile che vede all’altro capo la spinge a tornare indietro.
Sono gli uomini a ostacolarla nel suo percorso in virtù della loro mentalità che li porta a considerarla una peccatrice (emblematica la scena in cui come Eva morde la mela), la causa delle loro azioni, uomini (e qui chi vedrà il finale capirà) che nascono e rinascono con gli stessi pensieri, sfaccettature, ferite e con somiglianze non solo caratteriali, ma anche fisiche.
Un film, quello di Garland, in cui più che i dialoghi sono i silenzi e la natura circostante a farla da padrone: dagli spazi aperti della campagna inglese fino allo spazio ristretto del cottage, le sensazioni provocate da una leggera pioggia sul viso, la vista delle immagini dei leggendari Uomo Verde e Sheela na Gig scolpite nell’acquasantiera di una chiesa, il tutto condito da una colonna sonora cha va da Elton John a brani di musica sacra, unita a un’ottima fotografia e a una regia pulita e impeccabile.
Il regista si inserisce dunque all’interno di un discorso cinematografico sempre più battuto dopo la nascita del movimento #MeToo realizzando la sua opera meno “originale”, ma confermando tutto il suo talento mettendo in scena un’altra eroina (come nelle sue opere precedenti) fortemente contemporanea.