Thor: Love and Thunder
Regia 3
Soggetto e sceneggiatura 2
Fotografia 3
Cast 3
Colonna sonora 3

Cinque anni dopo Thor: Ragnarok, il nuovo film di Taika Waititi (Thor: Love and Thunder), fresco del successo all’Oscar per il suo JoJo Rabbit, torna ai toni scanzonati e sgargianti che avevano animato il bistrattato spirito pop del precedente capitolo. Love and Thunder, queste le direttive promozionali (e tuonanti) del nuovo ed estivo capitolo Marvel ..

Summary 2.8 normale

Thor: Love and Thunder

Cinque anni dopo Thor: Ragnarok, il nuovo film di Taika Waititi (Thor: Love and Thunder), fresco del successo all’Oscar per il suo JoJo Rabbit, torna ai toni scanzonati e sgargianti che avevano animato il bistrattato spirito pop del precedente capitolo. Love and Thunder, queste le direttive promozionali (e tuonanti) del nuovo ed estivo capitolo Marvel Cinematic Universe uscito in sala.

Anche questa volta non si smentisce, ma c’è altro: ci sono (guarda caso) gli inevitabili anni ottanta. Proprio mentre nelle piattaforme streaming spopola il look metal dell’Eddie Munson nella quarta stagione di Stranger Things, Waititi riporta il suo Thor all’immaginario hard rock che infiammò gli USA alla fine del decennio, sulla scia elettrica dei Guns N’ Roses. Così Welcome to the jungle e Sweet Child O’ Mine diventano i temi musicali portanti (e iconici) che animano le nuove gesta di Thor, figlio di Odino. 

Questo quarto capitolo getta il suo Dio del tuono in un regno di dilagante e assordante demenzialità. Un mondo in cui non c’è spazio per gli Dei, tutto orientato a una degradazione comica di qualsiasi possibile mitopoiesi. Non soltanto nel loro non essere presi più minimamente sul serio come Dei, ma anche, e soprattutto, come vittime del nuovo villain Gorr, interpretato da un gelido e dolente Christian Bale, unico interprete impegnato a rubare la scena con un antagonista decisamente riuscito e ispirato (seppur presente, purtroppo, in poche ma memorabili scene).

Intento a eliminare tutti gli Dei della galassia, Gorr porta avanti la sua vendetta per la morte della sua figlioletta, dopo aver supplicato il suo Dio di salvarla. Ormai adagiato nei suoi vizi di egoismo e avarizia, il Dio lo ignora, scatenando l’ira di Gorr verso ogni divinità. L’incipit di Love and Thunder spiazza subito per efficacia e resa emotiva dell’intimo dolore di cui si carica il cattivo di turno, per poi ingranare sulla marcia dell’idiozia già dai primi minuti in cui ricompare un flaccido e ascetico Chris Hemsworth insieme ai Guardiani della Galassia con i quali si era imbarcato alla fine di Endgame.

L’andamento narrativo di Thor: Love and Thunder respira nella sua ordinaria linearità, funzionando secondo il classico principio drammaturgico della chiamata dell’Eroe prima di imbarcarsi per il suo viaggio (da “Balla”) stellare. Non mancano di certo inevitabili parentesi riassuntive per chiarire i dubbi per gli spettatori più disattenti, inevitabili riempitivi per facilitare il reinserimento del personaggio di Natalie Portman, la “vecchia” fiamma Jane Foster. Taika Waititi ci guida con la sua voce (tramite la mascotte Korg) in una colorata favola tra scenari di fantastici cromatismi, mostriciattoli e pupazzetti alieni di razze sconosciute, capre giganti di irresistibile idiozia nonsense, allontanandosi per una volta da articolati panegirici tra multiversi (con tutto il bene per l’ultimo imperfetto Doctor Strange di Sam Raimi). 

La semplice quest vede Thor e la sua amata Jane rinnamorarsi nel tentativo di salvare i bambini di Nuova Asgard rapiti dal malefico Gorr. Per Waititi ormai Thor è e deve funzionare come un Dio bambino, mai cresciuto, e di conseguenza un supereroe del Nulla, secondo il principio di degradazione comica che porta le sue gesta ad essere costantemente fuori posto, meccanismo vitale del ridicolo, ingranaggio del divertimento che rischia di compiacersi fin troppo di se stesso.

Del resto è comunque un film inevitabilmente per bambini, che saranno i protagonisti assoluti fuori e dentro lo schermo, nella sala e nel salvataggio finale della storia, li vuole divertire e lo fa bene (mia testimonianza – divertita – dalla sala). Waititi gestisce a modo suo il personale tocco kitsch, con sketch più o meno divertenti in mezzo ad altri momenti più squisitamente horror (Gorr che rapisce i bambini su tutti), senza pur tuttavia compromettersi con gag dall’esplicito sottotesto sessuale e vorticosamente camp! Tuttavia chi non ha (per sbaglio o meno) mai visto da bambino alcune scene di Una Pallottola spuntata? Qualche problema?

Per quanto il tono infantile di Thor rischi per accumulare battute a vuoto a lungo andare, Love and Thunder si riscatta nel finale trovando almeno un ispirato sentimento d’amore (e tuono) tra Thor e Jane. Guerrieri innamorati che flirtano a costo di far ingelosire le proprie armi da combattimento, fino a suggellare la loro intimità nell’umile dichiarazione di Thor di volersi solo “sentire di merda” per una persona, che ha ben poco di divino e tanto di preziosamente umano. Un’umanità che si gioca (perché è tutto un gioco in fin dei conti) su contrasti cromatici ben definiti, tanto che Gorr intrappolerà i protagonisti in un sequenza finale virata tutta sul bianco e nero, in un mondo di ombre dove si annidano creature giganti come se fossero uscite dal famoso videogioco Limbo.

Un’inedito squarcio visivo e scenografico che perlomeno diletta il semplice piacere di guardare questa stramba e altalenante avventura fino al drammatico finale, dove la malattia di Jane (chiara già dall’inizio) acuisce la drammaturgia che intesse il destino dei personaggi. Un cambio di tono che non stona ma rafforza questa fiaba che verrà apprezzata più dai piccini che dagli adulti, ma dalla quale non si può fare a meno di apprezzare il trattamento genuino e semplice di temi difficili come il sacrificio e la perdita. Gli stessi temi che minavano la morale del Cavaliere Oscuro di Nolan nel famoso secondo capitolo, e che qui, intenzionalmente o meno non importa, tornano nuovamente con la prevedibile redenzione finale di Gorr. Il resto è un altro divertito giro, col sorriso che si stampa a fine della corsa, a patto di accettare le regole irreversibili del suo parco divertimenti. 

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