Esterno Notte
Non avevo mai visto una serie al cinema. Perché è questo che è Esterno Notte, non un film a episodi, ma una serie. Le prime tre puntate sono uscite il 18 maggio al cinema e, presentate, in anteprima al Festival di Cannes.
Dopo Buongiorno, Notte il regista piacentino Marco Bellocchio torna sul sequestro del caso Aldo Moro, avvenuto per mano delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978, quando un commando di brigatisti uccide la scorta e sequestra il Presidente della Democrazia Cristiana.
Quella di Bellocchio è sicuramente un’operazione molto difficile, complessa e, come ha scritto qualcuno, anche monumentale, ma che, in alcuni momenti, almeno per ora, cade nella solita superficialità di rappresentazione di alcune categorie; ma lo vediamo più avanti.
Il mezzo seriale è forse quello più utile per sviscerare una vicenda complicata e complessa come quella del caso Moro: in questa maniera è possibile ridurre in “piccole” parti le varie cornici entro cui è inserita la storia. Così ci possiamo trovare dentro il sequestro attraverso gli occhi, la testa e le parole di Moro (interpretato da un Fabrizio Gifuni perfettamente somigliante al Presidente), oppure guardare la stessa vicenda dalla parte di Francesco Cossiga, Ministro dell’Interno, amico e discepolo. O ancora, dall’alto di Sua Santità Paolo VI, il Papa degli anni di piombo.
Se da un lato il lavoro di Bellocchio è, come si è detto, monumentale, dall’altro appare troppo calato sui personaggi senza mostrare nettamente il contesto, fatto che rischia di continuare a stereotipare sia l’ambiente studentesco, sia i brigatisti stessi. Il periodo, le parole dell’epoca, il sentire degli studenti, degli operai e, perché no, dei brigatisti rimane sullo sfondo come se esistesse soltanto all’interno di una cornice e non fosse invece parte integrante del dibattito politico del periodo definito anni di piombo, e che di piombo non erano soltanto costituiti.
Per quanto complesso, Esterno Notte non cerca un’angolazione particolare per raccontare la storia. Voglio dire: le figure sono centrate, i personaggi parlano di se stessi, si raccontano e, sicuramente, si mettono a nudo. Ma oltre al Cossiga pieno di rimorso, che negli anni successivi ammetterà alcuni suoi comportamenti illegali compiuti durante gli anni al Ministero dell’Interno, non ne esiste un altro ancora più fermo nelle sue posizioni rispetto a Giulio Andreotti? Perché costruito così il personaggio, almeno fino a questo punto della serie, sembra essere il figliol prodigo, il buon allievo, la brava persona che salutava sempre, in sostanza.
E veniamo alla stereotipizzazione. Sono certo che per fare questa serie Bellocchio e il suo staff abbiano fatto una grossissima ed esaustiva ricerca sulle fonti, sui libri e le testimonianze di quel periodo; egli stesso è testimone dell’epoca. Ma il regista di Bobbio è anche testimone di quest’epoca in cui, se è lecito sminuzzare la Storia per ricavarne tante piccole storie altrettanto importanti, è anche prassi comune e consolidata abbozzare, navigare in superficie, guardare con un occhio chiuso. Un atteggiamento, quest’ultimo, che è lontano da alcuni suoi grandi film, uno per tutti Sbatti il mostro in prima pagina.
Proprio in riferimento a quest’ultimo film mi piacerebbe prendere in prestito un commento di Alberto Moravia e accostarlo, forse stravolgendone il senso, a Esterno Notte:
«Questo film […] fa pensare ad un affresco soltanto in piccola parte dipinto e per il resto appena abbozzato».
Ora bisogna aspettare che la bozza delle prime tre puntate diventi un affresco completo.