Russian Doll: ricucire ferite profonde come burroni
“La vita è solo un breve periodo di tempo nel quale siamo vivi.”
Philip Roth, Pastorale Americana
Russian Doll, serie Netflix arrivata alla sua seconda stagione, non è solo un insieme di loop e viaggi temporali, ma anche, e soprattutto, l’utilizzo consapevole di una continua analessi utile a scandagliare le nostre paranoie, i dolori del nostro passato. Dove c’è stata una spaccatura possono succedere due cose: cadere nel burrone formatosi; oppure fermarsi, tornare indietro, ricucire e ricostruire. Per trovare la pace.
Dopo due scene della prima stagione, Nadia Vulvokov, protagonista di Russian Doll, muore investita da un’automobile mentre attraversa la strada in un’umida notte newyorkese. La storia sembra finire qui. Invece Nadia torna indietro alla nottata del suo compleanno, ritrovandosi davanti allo specchio del bagno di casa di un’amica. E da quel momento in poi è costretta a rivivere quella serata, e la giornata successiva, fino al momento della sua morte, che si palesa in modi diversi e rocamboleschi. La fine arriva, Nadia viene catapultata davanti allo specchio.
Stessa sorte tocca ad Alan Zaveri: l’unica certezza è che, senza preavviso, la morte li coglierà durante la giornata che sono costretti a rivivere all’infinito.
Le storie, inesorabilmente, si uniscono e intrecciano, dando vita a due stagioni segnate da una continua tensione narrativa sferzata dall’imprevedibilità del tempo e dalle domande che ci attanagliano mentre guardiamo: cos’hanno fatto per meritarsi un contrappasso del genere? Perché proprio loro?
Ennesimo esempio di utilizzo, spesso semplicistico, della teoria nietzschiana dell’eterno ritorno, Russian Doll si discosta dalla solita cupa narrazione di viaggi nel tempo, perché al contesto surreale e distorto aggiunge una serie di argomenti universali alla caotica esperienza umana: la perdita, la malattia, il rapporto con i genitori, la miseria della solitudine, la continua preoccupazione di avere un sentore di morte e non riuscire a capire fino a che punto spingere le scelte del proprio libero arbitrio. Ogni mossa, reticente o avventata, potrebbe significare la fine o, peggio, un ennesimo e misterioso tassello da aggiungere ai complicati quesiti di questa storia.
Un plauso va alla caratterizzazione della protagonista, in bilico tra la figura di carnefice e vittima. Tabagista, alcolizzata, scostante e ingiusta nelle relazioni affettive, Nadia, costruita e interpretata da Natasha Lyonne – personaggio completamente opposto alla bontà e naïveté di Alan (Charlie Barnett) – ricorda una Bojack Horseman umana, che dietro una coltre di vizi e sarcasmo nasconde molteplici traumi irrisolti.
A tratti infatti Russian Doll potrebbe sembrare una serie divertente, piacevole. È invece uno dei prodotti più tristi che si possano trovare nel catalogo Netflix.
I don’t know how you were diverted
You were perverted too
I don’t know how you were inverted
No one alerted you
I looked at you all
See the love there that’s sleeping
Non so come siete stati sviati
Siete stati persino condotti sulla cattiva strada
Non so come siete stati sviati
Nessuno vi ha avvisati
Vi guardo tutti
Vedo l’amore lì che riposa
The Beatles, While My Guitar Gently Weeps
Nella ricerca di verità e pace di Russian Doll si nascondono due delle maggiori paure umane: la condanna alla solitudine e la perdita di controllo. Sebbene surreale, il mondo di Russian Doll offre la possibilità di confrontarsi con i peggiori demoni personali e le loro cause. Spesso la colpa di essere stati sviati non è nostra, nessuno ci ha avvisato. Come nessuno ha avvisato Nadia e Alan. Altre volte siamo proprio noi a prendere la cattiva strada, ma per il semplice motivo che stiamo scappando da qualcosa che non vogliamo ammettere. Come scappano, dagli/dalle altrə e loro stessə, Nadia e Alan.
Rimane la speranza. Rimane la certezza che l’unica soluzione umana plausibile per ricucire ferite profonde come burroni è vedere, con grande consapevolezza e autocoscienza, l’amore che riposa lì dentro.