A CHIARA
A Chiara è l’ultimo film di Jonas Carpignano, uscito nelle sale italiane lo scorso ottobre.
Il regista cambia soggetto, ma sceglie sempre lo stesso territorio che diventa il vero protagonista.
Gioia Tauro è il centro delle sue idee e ne realizza una trilogia. Sì, perché A Chiara è il terzo film che ha realizzato proprio in quelle zone, tra Rosarno e Gioia Tauro.
Una trilogia che racconta di immigrazione, della comunità rom La Ciambra, da cui deriva l’omonimo film, e nell’ultima opera, A Chiara, si parla di mafia.
Swamy Rotolo interpreta Chiara e lo fa in maniera magistrale, non a caso ha vinto il David di Donatello come Miglior attrice protagonista. La sua bravura a tratti quasi sovrasta la trama stessa del film.
O meglio, si potrebbe dire che il film è talmente realistico che sembra un film documentario.
La macchina da presa è immersa nelle scene, la qualità fotografica è relativamente bassa come se ciò che contasse è l’angoscia dei personaggi e non importa a nessuno della bellezza fotografica. Alla fotografia vi è il DoP Tim Curtin che già aveva lavorato in “A Ciambra”. Lo stile che adotta fa entrare lo spettatore dentro la scena stessa, in maniera assolutamente partecipativa. Recitazione, regia e fotografia lavorano, dunque, all’unisono per dare il senso del reale a questo film che consiglio vivamente.
Giulia (Grecia Rotolo), la sorella di Chiara (Swamy Rotolo), compie diciotto anni.
Il film si apre in un’atmosfera kitsch tra tavolate imbandite, balli e musica rap. Al compleanno è presente tutta la famiglia, si intravedono sorrisi accennati, cugini chiassosi che propongono dei brindisi, eppure qualcosa stona. Vi è una preoccupazione di fondo che si percepisce fin dall’inizio, quando il padre ha la voce spezzata dal pianto perché non riesce a fare un discorso per la figlia neo diciottenne. Vi è una forte contrapposizione tra il clima festoso e la sottile inquietudine che aleggia tra gli adulti. Forse è il presagio di cosa sta per accadere.
Il giorno seguente il padre Claudio (Claudio Rotolo) scompare. Quell’avvenimento è il motore che muove Chiara, che ha solo quindici anni, verso la scoperta di una verità scomoda alla quale era stata tenuta all’oscuro fino a quel momento.
Il padre, che lei adora, fa parte di un’organizzazione mafiosa e inevitabilmente la sua stabilità emotiva inizia a sgretolarsi. La verità non può più essere taciuta, il fatto che suo padre sia un latitante è ormai noto.
La sorella Giulia e la madre Carmela (Carmela Fumo) sanno già tutto, ma non vogliono rivelare nulla e per questo Chiara si sente esclusa. E’ come se la sua età giustificasse l’estromissione da quei fatti che, invece, riguardano tutti, e anche lei.
Chiara inizia a cambiare. Le menzogne della famiglia la portano a scoprire da sola la verità dei fatti. Il suo atteggiamento diventa sempre più aggressivo, in una escalation di atti che costringono gli assistenti sociali a intervenire.
Così come il padre è un latitante, anche lei fugge da loro perché non vuole essere allontanata da Gioia Tauro. Incredibile è il parallelismo tra la latitanza del padre che sfugge alle forze dell’ordine e quella della figlia che rifiuta l’allontanamento forzato. Eppure qualcosa deve accadere, non può continuare a nascondersi, deve fare i conti con la realtà e interrogarsi sul proprio futuro.
Chiara deve scegliere per sé stessa in maniera rivoluzionaria: accettare l’insalubrità del contesto in cui è cresciuta, che al contempo rappresenta per lei casa, oppure allontanarsi dalla sua famiglia evitando così il rischio di rimanere invischiata in quelle dinamiche. Questa scelta realmente fa capire quanto possa essere difficile stabilire cosa sia “bene” e “male” secondo una divisione dicotomica. Il bene è l’allontanamento dalla famiglia per salvaguardare il proprio futuro mentre la mafia rappresenta il male, oppure il bene è proprio quella famiglia nella quale, però, non è più al sicuro? Jonas Carpignano fa prendere a Chiara una strada precisa che lascia certamente spiazzati.
Vi è una messa in scena circolare: di nuovo ci troviamo a un compleanno. L’atmosfera è serena, non ci sono instabilità, la fotografia cambia e tutto si rasserena. Almeno così pare, anche se Carpignano si riserva il diritto di non svelare tutti i sentimenti che Chiara in quel momento, e in quel luogo, prova.
L’andamento circolare è il simbolo preciso di un viaggio di trasformazione del personaggio: all’inizio Chiara corre su un tapis roulant alla fine correrà in una pista di atletica, all’aperto. Una rivoluzione personale è avvenuta, ha preso coraggio, ma è stata la scelta giusta? Ciò che è bene coincide con ciò che è giusto?
“A Chiara” apre una serie di interrogativi morali nello spettatore, ai quali è difficile dare risposte e si vede come anche la protagonista, nonostante la scelta presa, rimarrà con il nostro stesso dubbio.